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Parità di genere. Il cambiamento (culturale) parte dalle aziende

Apr. 19 2023

Partecipazione e opportunità economica, potere in politica, salute e aspettativa di vita, livello di istruzione. Questi sono i parametri sui quali gli analisti del World Economic Forum (WEF) costruiscono il Global Gender Gap, il più noto report che valuta il divario di genere nel mondo.

Da quanto emerge, ci vorranno 132 anni prima che – a livello globale – si possa ridurre il gap fra i generi. In questo indice, l’Italia occupa una posizione piuttosto arretrata: il 63° posto dopo Uganda e Zambia, rispettivamente al 61° e 62°.  Germania, Francia e Spagna sono tra il 10° e il 17°; meglio di tutti, invece, i Paesi del Nord Europa.Strascichi socio-economici della pandemia e effetti della guerra in Ucraina, certamente non aiutano a migliorare la nostra posizione, identica a quella del 2021.

In questo processo di rinnovamento le organizzazioni aziendali danno un importante contributo. A partire dalla questione del salario, infatti, vi è la possibilità di rendere concreta quella parità di genere di cui tanto si dice e di cui si auspica – talvolta purtroppo solo a parole – una piena attuazione.

Un scelta non solo eticamente doverosa, ma anche conveniente da un punto di vista economico. Un noto studio realizzato dal McKinsey Global Institute nel 2015 mostrava che le disuguaglianze di genere sono un freno per lo sviluppo economico: le donne rappresentano la metà della popolazione mondiale in età lavorativa, ma solo il 37% del PIL. Questa disuguaglianza toglierebbe all'economia globale 12 trilioni di dollari che si potrebbero condividere se si migliorasse il tasso di gender equality. Inoltre, se si instaurasse una reale parità, il PIL globale salirebbe di un 26%, circa 28 trilioni di dollari (più o meno l’equivalente delle economie statunitense e cinese messe insieme). Nello studio si immaginava il 2025 come data di possibile realizzazione di uno di questi scenari.

Se i numeri non bastano per convincere, vi sono altre sostanziali ragioni per impegnarsi nell’eliminazione del gender gap quali un accresciuto senso di attaccamento alla società (minore turnover), una maggiore job satisfaction, una più forte capacità di attrarre nuovi talenti e di migliorare il clima aziendale con importanti e positive ricadute sul business. Oltre a un miglioramento dell’immagine dell’azienda che adotta politiche di equità.

E benché in Italia – come poc’anzi mostrato – vi sia molta strada da fare, le cose stanno cambiando, proprio a partire dalle imprese. Ad esempio, nel suo Equality Index, anno 2023, Bloomberg ha inserito 20 società italiane fra le oltre 600 analizzate e le 484 selezionate (operanti in 45 Stati). Se ad oggi si tratta solamente di grandi realtà, esse si pongono quali apripista per le tante imprese di medie e piccole dimensioni che costituiscono il nostro tessuto imprenditoriale.

Un altro elemento che va nella direzione di una concreta diffusione della parità è la pubblicazione della Prassi di Riferimento UNI 125:2022, contenente le linee guida sul sistema di gestione per la gender equality nelle organizzazioni. Come viene spiegato nell’introduzione al documento, grazie alla strutturazione e adozione di un insieme di indicatori prestazionali (KPI) inerenti le politiche di parità di genere nelle organizzazioni essa prevede la misura, la rendicontazione e la valutazione di questi dati “con l’obiettivo di colmare i gap attualmente esistenti nonché incorporare il nuovo paradigma relativo alla parità di genere nel DNA delle organizzazioni e produrre un cambiamento sostenibile e durevole nel tempo”.

La Prassi UNI è senza dubbio un efficace strumento attraverso il quale un’azienda certifica il proprio impegno. Come avviene? Un organismo di parte terza valuta, tramite indicatori di tipo qualitativo e quantitativo, il grado di inclusività di un’organizzazione. L’analisi viene svolta considerando sei macro-aree (Cultura e strategia, Governance, Processi HR, Opportunità di crescita, Equità remunerativa, Tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro), ognuna delle quali pesa in maniera differente nella composizione del punteggio finale. Come mostrato dagli analisti del WEF, la riduzione e poi eliminazione del gender gap passa tanto dalle riforme (norme e leggi) quando da un differente approccio, da una trasformazione culturale. Un processo lungo e profondo, ma anche duraturo che, oltretutto, permette una migliore e più consapevole applicazione delle prime (cioè le riforme). E la formazione gioca un ruolo essenziale nel favorire un cambio di mentalità e instaurare un rinnovato modo di vedere la questione di genere. L’azienda, ancora una volta, diviene il luogo da cui il cambiamento ha l’opportunità di nascere.

Come esplicitato dalla Prassi di Riferimento UNI la parità passa anche da attività di formazione e sensibilizzazione, in questo senso e in stretta relazione con la certificazione PDR/UNI 125:2022, Bureau Veritas organizza sessioni formative pensate per approfondire gli elementi costitutivi di un sistema di gestione della Parità di Genere, acquisire le competenze e gli strumenti per effettuare un self assessment della propria organizzazione in tema Gender Equality e, ovviamente, conoscere i contenuti della PDR/UNI 125:2022. I corsi sono dedicati ai responsabili delle Risorse Umane, a quelle funzioni aziendali a vario titolo coinvolte sulle questioni della Diversity & Inclusion e ai consulenti che desiderano allargare le loro competenze anche a questo tema. Inoltre, oggi i professionisti della D&I che lo desiderano possono aderire ad un percorso di Certificazione di Competenze a garanzia preventiva della loro professionalità, trasparenza e aggiornamento continuo grazie a CEPAS, Società del Gruppo Bureau Veritas.