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Parità di genere: la testimonianza di una PMI

Giu. 27 2023

LA CEO DI DA.MI. RACCONTA IL PERCORSO E IL VALORE DELLA CERTIFICAZIONE 

Nel più grande distretto calzaturiero italiano, nelle Marche, Alberto Catalini ed Ennio Pieragostini fondano Dami.
Da laboratorio adibito a tranceria di cuoio, negli anni ‘70 decidono di avviare la produzione di fondi in TR, per calzature da bambino dirette al mercato locale.
Negli anni ‘90, gli orizzonti si aprono verso l’Europa con la produzione di fondi anche per uomo e donna. 
Oggi Dami è diventata una realtà al femminile: le 4 figlie dei due titolari rappresentano il passaggio generazionale, guidando una squadra composta da 68 collaboratori, di cui 14 donne

La scelta di implementare un sistema di gestione per la parità di genere e ottenere la certificazione ai sensi della UNI/PdR 125:2022 appare come la evoluzione naturale di una azienda che oggi esprime una leadership femminile.
Il traguardo della parità di genere si inserisce in un più ampio percorso caratterizzato dal conseguimento delle certificazioni ISO 9001, ISO 14001, ISO 45001. In questo modo, DA.MI. ha suggellato il proprio impegno negli ambiti Qualità, Ambiente e Responsabilità Sociale d'Impresa ottenendo da Bureau Veritas il “Responsability Award”.

Intervistiamo la CEO dell’azienda Elisabetta Pieragostini, figlia di Ennio, membro del CdA e alla Direzione del Personale.

L'intervista
Elisabetta, la proprietà di DAMI è oggi interamente femminile. Il passaggio generazionale è stato facile?

Apparentemente io, mia sorella e le mie cugine possiamo sembrare delle privilegiate, perché siamo subentrate nel CdA ai nostri padri. Eppure, anche noi ci siamo trovate a lottare contro stereotipi di genere e pregiudizi: ecco perché abbiamo visto in questa certificazione lo strumento giusto per stabilire regole e monitoraggi che ci aiutassero a sgombrare il campo da ogni possibile forma di discriminazione.

Oltre alle manager che sono parte della famiglia, come sono distirbuiti gli altri ruoli apicali? 

Equamente: 2 donne e 2 uomini. Le donne ricoprono, rispettivamente, il ruolo di responsabile amministrativa e responsabile ZDHC; ci sono due uomini, invece, a capo rispettivamente della logistica e del commerciale.

Come è stata accolta la decisione di certificarsi per la parità di genere in azienda?

Inizialmente alcuni hanno mostrato poco entusiasmo. Temevano si trattasse di un approccio burocratico, un aggravio di procedure e documenti. Non percependo problemi sostanziali sul fronte gender equality in azienda, il “bollino” sembrava un addendum con scarso valore aggiunto.
Questa “prima impressione” si è poi dissolta velocemente: è bastato trovarsi in diverse occasioni al tavolo delle trattative con i grandi clienti del settore lusso per capire come la parità di genere sia un “must”: esibire la certificazione UNI/PdR 125:2022 è una garanzia molto richiesta ed apprezzata sul mercato. Le aziende che si riconoscono nei valori della parità e della inclusione devono testimoniarlo, per creare un circolo virtuoso clienti-fornitori che si riconoscono negli stessi principi.

Elisabetta, da chi è composto il vostro Comitato Guida?

Da 5 persone: 3 donne (due componenti del CdA, e la Responsabile Amministrativa; e 2 uomini (il rappresentante del sistema di gestione e il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza). Una squadra affiatata che racchiude le competenze chiave per definire le azioni di miglioramento.

Il Sistema di gestione della Parità di genere è un vestito su misura: si deve adattare alle forme e alle peculiartà dell’azienda. Qual è l’elemento distintivo del vostro impegno?

Sicuramente, la testimonianza verso gli stakeholder esterni, complice anche una mia spiccata propensione personale. Vogliamo dare un messaggio, essere di esempio e incoraggiare le giovani che oggi si affacciano al mondo del lavoro; da questa volontà nasce la nostra collaborazione con l’Università di Macerata, con la quale abbiamo sviluppato un progetto di formazione sul linguaggio di genere.
Se vogliamo agire sulla cultura, dobbiamo partire dai più piccoli: ecco perché sono personalmente impegnata in una serie di testimonianza nelle scuole dell’infanzia: naturalmente, occorre adattare l’approccio in base all’età degli interlocutori, ma è fondamentale evitare che i bambini siano condizionati dagli stereotipi di genere.
Il pilastro di questa certificazione è un importante cambiamento culturale che porta a considerare il personale come valore, da conservare e preservare. Vogliamo porci come “agenzia culturale” che dissemina sul territorio buone prassi sulla parità di genere. 

Elisabetta, nella sua azienda le donne hanno ruoli di responsabilità e non esiste il divario retributivo. Su cosa potete ancora migliorare? 

C’è un tema, in Italia, che non riguarda solo la nostra azienda ma tutte le organizzazioni: sto parlando della genitorialità.
Quando nasce un bambino, capita quasi sempre che sia la madre a dover “adeguare” il proprio percorso professionale alle esigenze del figlio; culturalmente ci si aspetta che sia la madre a farsi carico della responsabilità genitoriale e ciò impatta enormemenente sulla carriera.
Nei migliori dei casi, il percorso di crescita frena o si ferma; nei casi peggiori la neo-mamma è costretta a chiedere il part-time o addirittura a rinunciare alla propria occupazione. Vogliamo contrastare questa cultura radicata nel nostro Paese e promuovere una vera e propria genitorialità condivisa, incoraggiando i nostri collaboratori ad usufruire dei permessi che la legge mette a disposizione anche dei papà. Nella nostra azienda un padre che sceglie di dedicare tempo ai propri figli – ripartendosi le responsabilità con la compagna - ha tutto il nostro supporto ed apprezzamento: questa è la parità di genere di cui vogliamo essere testimoni.