women-supporting

Intervista a Lara Benetti

GIORNATA INTERNAZIONALE PER L'ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE

In occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, abbiamo intervistato l’Avvocata Lara Benetti, specialista della tematica, con un focus riguardo la Convenzione ILO 190 sull’eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro, seguito da un approfondimento sul quadro normativo vigente e sulle best practices adottabili da un datore di lavoro all’interno di un’azienda.

Leggi l'intervista completa

1. La Convenzione ILO 190 riconosce il ruolo e le funzioni differenti, ma complementari, dei governi, datori di lavoro e lavoratori, e le loro organizzazioni di rappresentanza. In che modo i datori di lavoro sono chiamati in causa?

La  Convenzione  190 -  che entra definitivamente in vigore in Italia il prossimo 29 ottobre -  ha il rango di un vero e  proprio trattato internazionale e, unitamente alla Raccomandazione 206 OIL, suo naturale complemento interpretativo, costituisce uno strumento normativo innovativo ed evoluto poiché riconosce per la prima volta “il diritto di tutti ad un mondo del lavoro libero dalla violenza e dalle molestie, ivi compresi la violenza e le molestie di genere”.
Lungi  dal costituire generiche affermazioni programmatiche, le disposizioni della Convenzione si contraddistinguono per la loro estrema  “concretezza”; prima fra tutte la norma che definisce il concetto di violenza e molestie nel mondo del lavoro come quell’insieme di pratiche, comportamenti o minacce inaccettabili, che ripetutamente o anche solo in un’unica occasione abbiano lo scopo o l’effetto – anche solo potenziale – di causare un danno psico-fisico o economico, anche  in ragione del sesso o del genere della vittima (art.1). Siamo di fronte, per la prima volta, a una  regolamentazione unitaria del fenomeno di tutte le forme di prevaricazione ed aggressività sul lavoro finalizzata a dare ordine all’insieme eterogeneo  di fenomeni (quali il  mobbing, lo straining, il  bullying, il bossing, lo  stalking, le molestie morali, le molestie sessuali e le violenze psicologiche, fisiche e sessuali) che acquisiscono oggi una “nuova cittadinanza”: attraverso un radicale mutamento del lessico, infatti, viene creata l’unitaria ed omnicomprensiva categoria della violenza e delle molestie lavorative, che consente al contempo di semplificare e di razionalizzare il trattamento giuridico delle molteplici fattispecie.  All'art. 9 della Convenzione si legge che "ciascun Membro dovrà adottare leggi e regolamenti che richiedano ai datori di lavoro di intraprendere misure adeguate e proporzionate (...)  Ad oggi il Legislatore italiano, pur essendosi ufficialmente impegnato in tale senso, si è limitato a ratificare la Convenzione 190, senza emanare ulteriori leggi o regolamenti attuativi che indichino la strada in maniera rigorosa ai datori di lavoro, individuando precise responsabilità e conseguenti  sanzioni. In attesa di una puntuale regolamentazione (segnalo che attualmente ci sono tre disegni di legge - presentati nel 2018 -  in attesa di approvazione da parte del Parlamento in tema di molestie sessuale sui luoghi di lavoro) i datori di lavoro, però, ben possono autonomamente e spontaneamente adeguarsi ai principi fondamentali enunciati dalla Convenzione - che peraltro l'Italia ha votato all'unanimità nelle sue tre componenti rappresentative (rappresentanza datoriale, sindacale e governativa) dimostrando compattezza e convinzione circa la necessità di un intervento radicale in materia - adottando regolamenti interni (codici di condotta) di attuazione delle norme comunitarie che - ricordiamo - hanno effetto vincolante per i paesi ratificanti. Una volta che la Convenzione viene recepita, infatti, pone dei vincoli per l'ordinamento interno del Paese, che deve allineare la legislazione nazionale ai principi in essa enunciati.  Ma, poichè le disposizioni della Convenzione, rientrando tra gli “obblighi internazionali” previsti dall’art. 117, primo comma Cost., risultano immediatamente vincolanti per l'Italia, obbligano i giudici, sin da ora, ad un’interpretazione della legislazione interna (in particolare dell’art. 2087 c.c., del d.lgs. 81/2008 e della disciplina antidiscriminatoria, norme centrali in materia) in modo conforme alle disposizioni della Convenzione 190 OIL. Quindi i datori di lavoro, per non incorrere in pronunce di condanna in caso di azione giudiziaria da parte del lavoratore o lavoratrice sono chiamati all'immediata  applicazione delle norme convenzionali.

Merita anche evidenziare che la seconda delle tre direttrici di intervento della Convenzione 190 (la prima è prevenzione e protezione, la terza supporto, informazione e formazione), impone l’applicazione di  meccanismi di ricorso e di risarcimento, che richiede in particolare adeguati strumenti di tutela delle vittime, dei testimoni e degli informatori da possibili ritorsioni degli aggressori, nonché efficaci meccanismi di risoluzione delle controversie ed adeguati strumenti sanzionatori delle condotte violente e moleste (art. 10). Di particolare rilievo, in tale contesto, è la previsione del diritto a favore delle vittime di abbandonare il posto di lavoro in caso di serio pericolo senza poter essere oggetto di conseguenze pregiudizievoli (art. 10 lett. g), oltre al ruolo nodale riconosciuto agli ispettorati del lavoro nel contrasto delle violenze e delle molestie, anche attraverso l’adozione di  misure immediatamente esecutive  quali l’interruzione dell’attività lavorativa (art. 10, lett. h). La Raccomandazione  206, poi, al capo III, suggerisce (ricordiamo  che le disposizioni della Raccomandazione non sono vincolanti) la direzione di possibili azioni  concrete da attuare per assicurare il rispetto dei principi della Convenzione, che possono essere interpretate come  Linee Guida programmatiche anche per il datore di lavoro virtuoso e rispettoso dei precetti internazionali.

2. La Convenzione ILO parte dalla consapevolezza che i comportamenti costituiscono una manifestazione della cultura di fondo e dunque occorre agire a livello preventivo, eradicando la cultura sessista ed intervenendo sui fattori di rischio, ivi compresi stereotipi di genere. Quali best practice può adottare un datore di lavoro per lavorare proprio sulla cultura aziendale.

Questo aspetto è davvero rivoluzionario: per la prima volta si riconosce che gli stereotipi di genere e gli squilibri di potere dovuti al genere costituiscono un fattore di rischio importante e determinante nell'insorgenza del fenomeno della violenza di genere. Nel solco della terza tra le direttrici strategiche individuate dalla Convenzione (orientamento, sensibilizzazione e formazione), trova legittimazione la promozione di iniziative di sensibilizzazione e di programmi educativi e formativi in una prospettiva di genere con lo scopo dichiarato di promuovere una cultura del lavoro basata sul rispetto reciproco e sulla dignità dell'essere umano. Il datore di lavoro "virtuoso" deve pertanto adottare programmi educativi  sui temi dell’inclusione e della parità di genere ma anche su aspetti più culturali, quali il concetto di reciproco rispetto, sulla promozione di tecniche di mediazione dei conflitti nei rapporti interpersonali, in tema di comunicazione non violenta ed inclusiva, oltreché  interventi formativi a tutti i livelli,  compresi i vertici, sulla differenza di genere,  sulle varie forme di violenza basata sul genere, sul diritto all'integrità personale, con un approfondimento specifico dedicato al tema de molestie e delle discriminazioni.

Le best practices  non si limitano alla formazione ed alla sensibilizzazione, ma possono concretizzarsi anche in azioni e comportamenti virtuosi. Il datore di lavoro, infatti può anche adottare politiche e misure pragmatiche per ridurre concretamente il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della genitorialità;  può realizzare politiche in grado di garantire la partecipazione equa e paritaria di entrambi i sessi a percorsi di formazione e di valorizzazione; può creare un ambiente lavorativo che favorisca la diversity e la conciliazione dei tempi di vita personale e lavorativa e che tuteli il benessere psico-fisico dei/delle dipendenti; può prevedere un presidio (comitato, unità o funzione, consulenza esterna) volto alla gestione e al monitoraggio delle tematiche legate all'inclusione, alla parità di genere e all'integrazione; può promuovere l’utilizzo di comportamenti e di linguaggi in grado di garantire un ambiente di lavoro inclusivo e rispettoso delle diversità di genere, nonchè nominare referenti e stabilire prassi aziendali a tutela dell’ambiente di lavoro,  con particolare riferimento ed episodi di molestie o mobbing ; può dotarsi di una policy per la prevenzione e gestione delle molestie sul lavoro ed istituire canali di segnalazione interni ed esterni nonché implementare procedure per dar seguito alle segnalazione ricevute, garantendo riservatezza ed imparzialità.

Solo così si può incidere sulla cultura aziendale, portando consapevolezza, sviluppando un ambiente di lavoro davvero equo e libero e coltivando valori aziendali coerenti con una cultura inclusiva.

3. I canali di ascolto sono fondamentali per far uscire le vittime di violenza dal loro isolamento. In un’azienda, quali canali possono essere attivati per raccogliere la voce di chi subisce violenze e abusi?
 

Occorre istituire regole e procedure -  formali ed informali - chiare, trasparenti ed accessibili a tutti, che garantiscano riservatezza, imparzialità, sicurezza e tempestività di intervento. Fondamentale in tal senso è la nomina di una Consigliera di Fiducia (o Person of Trust come viene definita in ambito privato)  una figura esterna all'Organizzazione, che agisce in piena autonomia ed indipendenza, nel rispetto dei fondamentali principi di correttezza, imparzialità e riservatezza. Proprio queste caratteristiche peculiari, unite alla capacità di ascolto e all'empatia, la rendono infatti l'interlocutrice privilegiata in ogni situazione di potenziale o reale violenza che si realizzi all'interno dell'ambito lavorativo, in grado di superare le naturali ritrosie – dettate dal timore delle conseguenze, dalla vergogna e/o dalla sfiducia nelle possibili soluzioni – che normalmente ostacolano l'emersione del fenomeno all'interno delle singole realtà aziendali.

Oltre al compito dichiarato di fornire consulenza ed assistenza a chi denuncia di essere vittima di discriminazione, di molestia psicologica o sessuale ovvero di mobbing, la Consigliera di Fiducia esercita l'essenziale funzione di prevenire ogni forma di violenza, attraverso la costante attività di ascolto, informazione e formazione, al fine di promuovere un clima organizzativo idoneo ad assicurare la pari dignità e libertà delle persone, favorendo in tal modo anche il c.d “benessere lavorativo”. Inoltre, può formulare pareri in relazione alle problematiche in campo relazionale conosciute nell'esercizio della propria funzione, partecipare alla redazione, integrazione, e divulgazione del codice etico, per diffondere i valori in cui l'Organizzazione si riconosce e per creare una cultura antidiscriminatoria e predisporre il codice di condotta che detta regole chiare e definite per la gestione delle segnalazioni di episodi di discriminazione, molestia, mobbing o di qualunque altra forma di violenza.

4. All’art. 9 della Convenzione ILO si legge che ciascun Membro dovrà adottare leggi e regolamenti che richiedano ai datori di lavoro di intraprendere misure (…omissis…) in materia di prevenzione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro, ivi compresi la violenza e le molestie di genere. Quali provvedimenti sono già stati adottati dal nostro legislatore? Attualmente qual è il quadro giuridico di riferimento in Italia?

Il quadro normativo di riferimento è ricco e composito:  oltre alle nutrita legislazione sovranazionale sul tema ed il relativo quadro normativo di recepimento delle fonti europee (tra le quali, da ultimo, la L.4/21 legge di ratifica della Convenzione 190), ci sono le numerosi fonti normative interne, tra cui  la Costituzione, il Codice Civile e lo Statuto dei Lavoratori. Si segnalano, in particolare le seguenti norme, di estremo interesse per le imprese:

- il D.Lgs. n. 81/2008 che all' art. 28, stabilisce che  il Documento di valutazione dei Rischi (DVR) deve contenere sia l’analisi dei rischi molestie e violenza che l’individuazione delle misure di prevenzione e protezione adottate contro tali rischi, essendo ormai pacifico in giurisprudenza che le molestie e la violenza sono fattori di rischio lavorativo. Le misure citate dalla norma possono essere di due ordini: le misure “tipizzate” o “nominate”, e le misure “atipiche” o “innominate”, le seconde, a differenza delle prime, non previste da specifiche norme, ma desumibili dall’obbligo generale di cui all’art, 2087 c.c, tra cui possiamo annoverare i Codici di Condotta, come previsto dall’Accordo Europeo del 2007;

l’art. 26 del D.Lgs. n. 198/2016 prevede espressamente al comma 3-ter che  “I datori di lavoro sono tenuti, ai sensi dell'articolo 2087 del codice civile, ad assicurare condizioni di lavoro tali da garantire l'integrità fisica e morale e la dignità dei lavoratori, anche concordando con le organizzazioni sindacali dei lavoratori le iniziative, di natura informativa e formativa, più opportune al fine di prevenire il fenomeno delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro. Le imprese, i sindacati, i datori di lavoro e i lavoratori e le lavoratrici si impegnano ad assicurare il mantenimento nei luoghi di lavoro di un ambiente di lavoro in cui sia rispettata la dignità di ognuno e siano favorite le relazioni interpersonali, basate su princìpi di eguaglianza e di reciproca correttezza”.  È il caso di aggiungere che l’analisi dei rischi molestie e violenza non può essere generica, così come non può essere generica l’individuazione delle relative misure di prevenzione e protezione;

- l'art. 4 dell'Accordo quadro 2016 tra confindustria e OOSS  che prevede espressamente l'obbligo di adottare una “dichiarazione” contenente le procedure per gestire i casi di violenza e molestia.

Un panorama normativo disorganico e frastagliato che ha trovato una puntuale e lungimirante sistematizzazione all'interno della Convenzione 190.

5. In quali sanzioni può incorrere un datore di lavoro che non vigilasse  in maniera adeguata, in caso di episodi di violenza subiti da un proprio lavoratore?

Gli Stati che ratificano la Convenzione devono chiedere ai datori di lavoro di intraprendere misure adeguate e proporzionate al livello di controllo in materia di prevenzione attraverso diverse azioni: l'adozione e l'attuazione di una politica aziendale in materia di violenza e molestie, l'inclusione della violenza e delle molestie nella gestione della Salute e Sicurezza sul lavoro, l'identificazione, la valutazione dei rischi relativi alla violenza e alle molestie e l'adozione di misure preventive e di controllo, ed infine la costante attività di sensibilizzazione e formazione sul  tema specifico.

Il datore di lavoro può incorrere, in caso di inerzia e di omessa vigilanza, in rischio di condanna per responsabilità civile. Già  il D.Lgs. n. 81/2008 ha previsto a carico del datore di lavoro e dei dirigenti e dei preposti un obbligo di vigilanza, riconoscendo in capo agli stessi la titolarità della posizione di garanzia che attribuisce la responsabilità dell'evento medesimo qualora non impedito. E siffatta vigilanza, non può essere meramente dispositiva ma deve risultare impositiva. Istruttive sono le pronunce della Corte Suprema ove si statuisce la responsabilità del datore di lavoro rimasto colpevolmente inerte nella prevenzione o  nella rimozione del fatto lesivo e quindi condannato al risarcimento del danno in qualità di responsabile civile.

Abbiamo descritto i profili di responsabilità delle persone fisiche "garanti" della sicurezza anti-molestia e anti-violenza. Ma sempre di più la giurisprudenza si sta sviluppando anche su un altro fronte: la responsabilità c.d. amministrativa delle stesse imprese, prevista nel D.Lgs. n. 231/2001, ed estesa dal D.Lgs. n. 81/2008 ai delitti di omicidio colposo o lesioni personali colpose gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro: ivi comprese, pertanto, le norme di protezione contro le molestie e la violenza. Essa comporta sanzioni di natura pecuniaria e/o interdittiva (tra le quali l'interdizione dell'esercizio dell'attività, la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni, il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, l'esclusione di agevolazioni, finanziamenti, contributi o l'eventuale revoca di quelli già concessi). Responsabilità che l’impresa potrà schivare, a condizione che adotti ed efficacemente attui un idoneo modello di organizzazione e gestione in linea con i requisiti previsti dall’art. 30, D.Lgs. n. 81/2008.

Con l'adozione della Convenzione 190, unitamente alla Raccomandazione 206 , queste norme hanno acquistato maggior pregnanza alla luce sia della esplicita attrazione del tema nell'ambito del settore "Salute e Sicurezza" (considerando che la violenza  le molestie  hanno ripercussioni sulla salute psicologica, fisica e sessuale, sulla dignità e sull'ambiente familiare e sociale della persona) nonchè dell'innovativo ed espresso riconoscimento del "diritto di tutti ad un mondo del lavoro libero dalla  violenza  e dalle molestie  e la fondamentale importanza  di  una cultura del lavoro basata sul rispetto reciproco e sulla  dignità  dell’essere umano”.

6. Si affronta anche il tema della violenza domestica, dicendo che occorre “riconoscere gli effetti della violenza domestica e, nella misura in cui ciò sia ragionevolmente fattibile, attenuarne l’impatto nel mondo del lavoro”. In che modo un datore di lavoro può essere di supporto anche in questa sfera privata?

La Convenzione si occupa della violenza domestica sia nelle premesse, "rilevando che la violenza domestica possa avere ripercussioni sull'occupazione, la produttività, la salute e la sicurezza e che i governi, le organizzazioni dei datori di lavoro e i sindacati e le istituzioni del mercato del lavoro possono adoperarsi, nel quadro di altre misure, al fine di identificare, reagire, ed intervenire sulle conseguenze della violenza domestica", che, nel corpo normativo vero e proprio all'art. 10 lett. f), riconoscendone gli effetti ed imponendo di attenuarne l'impatto nel mondo del lavoro.

Ancora una volta la Convenzione ha una portata rivoluzionaria: riconosce in modo esplicito che la violenza domestica ha un impatto diretto sul mondo del lavoro perché  incide sulla salute, sulla sicurezza e sulla produttività delle lavoratrici, dei lavoratori e delle altre persone coinvolte, oltre che sulla loro capacità di entrare, rimanere e progredire nel mercato del lavoro. Si tratta di rischi lavorativi sia per le vittime, che per tutto l'ambiente professionale che devono essere inseriti e valutati nell'ottica del tema "salute e sicurezza sui luoghi di lavoro" (e pertanto, inseriti nel relativo DVR). Ciò oggi è ancor più significativo ed urgente dato che la pandemia, con l'adozione massiccia di forme di lavoro agile quali lo smart working e il telelavoro, ha reso tangibile ed ancor più evidente l'inevitabile intersezione del mondo lavorativo con quello familiare.

Esistono diversi strumenti di protezione delle vittime, già in uso da tempo da parte di aziende virtuose e lungimiranti: si pensi ai congedi per le vittime di violenza domestica (introdotto dal D.Lgs. n. 80/2015, che all'art. 24 prevede che le lavoratrici dipendenti del settore pubblico e privato e le lavoratrici con rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere, possano avvalersi di un’astensione dal lavoro per un periodo massimo di 90 giorni nell’arco temporale di tre anni ), e molte altre  buone prassi che la Raccomandazione 206 esplicitamente ricapitola - sistematizzandole - all'art. 18 definendole misure adeguate per attenuare l’impatto della violenza domestica nel mondo del lavoro di cui all’articolo 10 f) della Convenzione:

a) congedi per le vittime di violenza domestica; b) modalità di lavoro flessibili e protezione per le vittime di violenza domestica (si pensi alla possibilità di trasferimento in altre sedi o di modulazione di turni ed orari per tutelare le vittime; c) protezione temporanea contro il licenziamento per le vittime di violenza domestica; d) inclusione della violenza domestica nella valutazione dei rischi sul luogo di lavoro; e) un sistema di orientamento ai servizi pubblici di attenuazione della violenza domestica, se esistenti (protocolli con centri antiviolenza); f) sensibilizzazione sugli effetti della violenza domestica sia alle vittime che agli autori.

Sarebbe auspicabile anche che le aziende prevedano, all'interno del codice di condotta, anche procedure formalizzate di gestione di casi di violenza domestica, divenendo in tal modo esse stesse agenzie intermedie di contrasto alla violenza, non solo agita in ambito lavorativo, ma anche in quello intrafamiliare.