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BIM, per la "rivoluzione" c'è bisogno di formazione

Set. 21 2021

La rivoluzione digitale innescata dal Building Information Modeling o BIM continua ad espandersi e ad allargarsi. Analogamente a quanto è avvenuto per la manifattura con l’ormai nota Industria 4.0, le novità apportate dalla metodolgia BIM hanno investito e cambiato il tradizionale modo di progettare. Grazie all’integrazione di software specifici, che correlano e aggregano dati e informazioni utili alla pianificazione, realizzazione e manutenzione di differenti tipologie di costruzioni, esso permette di raggiungere una progettazione integrata che combina e collega digitalmente i dati di progetto secondo differenti esigenze (architettoniche, strutturali, funzionali, impiantistiche, autorizzative, ecc.). 
Potenzialità che, a partire dal 2014, hanno spinto l’Europa comunitaria – sulla scia di altri Paesi pionieri come quelli scandinavi, gli USA e il Regno Unito –  a promuoverne con decisione l’uso. 
L’Italia, con il decreto 560/2017 o “decreto BIM” ha reso questa metodologia un obbligo di legge, imponendo l’adozione progressiva, a partire dal 2019 di metodi e strumenti elettronici per la modellazione nelle fasi di progettazione, costruzione e gestione delle opere e relative verifiche in ambito edilizio ed infrastrutturale. Tale obbligo normativo riguarda solamente gli appalti pubblici (oggi per quelli con importo lavori maggiore di 15 milioni di euro e dal 2025 per tutti), ma molti operatori privati hanno scelto di utilizzare il BIM come strumento per la gestione dei propri interventi edilizi.

Pur non essendo fra le principali nazioni europee utilizzatrici di BIM (Germania o Regno Unito), il nostro Paese non sconta particolari ritardi. 
Cifre e dati ci aiutano a meglio inquadrare il fenomeno e a capirne le prospettive di sviluppo. Il rapporto OICE delle gare BIM per il 2020 evidenzia un sostanziale aumento: +140% del valore e +17.2% nel numero rispetto al 2019. Tradotto in cifre significa 560 bandi emessi da stazioni appaltanti, cioè l’8,7% del totale nel numero di tutti i bandi per servizi di ingegneria e architettura.
Osservando gli importi, risulta che nel 2020 i bandi con richiesta di BIM hanno raccolto 711,6 milioni di euro, contro i 2.412 milioni di tutto il mercato, una quota del 29,5% del totale dei bandi per i servizi di architettura e ingegneria. Un risultato colto in un anno difficile come il 2020, segnato dall’irrompere della pandemia da Covid-19. 

Il BIM sta, dunque, portando un cambiamento copernicano nel settore. Tuttavia, la diffusione più o meno rapida e fluida di un fenomeno di tale portata non solo non è automatica, ma non può nemmeno prescindere dalla presenza di alcuni fattori o circostanze favorevoli. Tra essi vi sono un quadro legislativo chiaro, un mercato ricettivo e pronto a cogliere le novità, committenti interessati alla qualità progettuale che il BIM può portare e, ultimo, ma non per importanza, la reattività degli attori coinvolti. Come è avvenuto in altri settori investiti dalle trasformazioni causate dai processi di digitalizzazione, anche in questo caso sono necessarie due condizioni: prima, una piena collaborazione delle parti quale convinta adesione al cambiamento e seconda, l’impegno concreto per l’apprendimento di nuove conoscenze, perché la possibilità di sfruttare al meglio il BIM passa naturalmente da un’attività di formazione e istruzione.
E ciò vale sia per i tecnici della Pubblica Amministrazione che di BIM devono sapere per scrivere correttamente i bandi e seguire i lavori, sia per coloro che lavorano in studi di ingegneria e architettura. 
 
Per capire meglio l’attuale situazione nei due fronti, ci serviremo innanzitutto di un’interessante indagine svolta quest’anno da Assobim proprio per testare le competenze dei tecnici della PA. Essa rivela che la maggior parte di geometri, ingegneri o architetti che lavora per gli uffici tecnici pubblici conosce il BIM (46%), mentre solo una parte residuale non sa cosa sia (16%). 
Se poi si indaga la possibilità di prossima integrazione della metolodogia BIM nell’attività della PA, le percentuali segnano quasi un pareggio. Infatti, il 48,1% è convinto che ciò avverrà, mentre il 51,9% non ci crede, soprattutto a causa di ostacoli (noti) quali: risorse economiche insufficienti, dotazioni tecnologiche limitate, scarsa propensione all’innovazione e carenze sul versante della formazione. Quest’ultima riflessione ci porta a considerare altri due dati e cioè che solo il 30% degli intervistati ha partecipato a eventi formativi e corsi sul Building Information Modeling e che quasi totalità del campione non possiede alcuna formazione certificata in merito.

Vediamo ora il fronte dei privati. Oltre il 50% degli studi di architettura e delle società di ingegneria sondati nell’ambito del BIM Report 2020 afferma di conoscere e utilizzare questa metodologia, mentre solo una percentuale residuale (10%) ammette di non sapere di cosa si tratta. Si registra, poi, una crescita a due cifre per quanto riguarda le realtà che hanno deciso di adottarla rispetto all’anno precedente: + 20%. Un altro 11% dichiara, invece, di aver intenzione di introdurla nel corso dei prossimi 12 mesi. 
Inoltre, si scopre che il 32% del campione usa il BIM sempre o in maniera estesa, che il 23% lo fa parzialmente e che solo il 16% lo applica di rado. In questo caso è significativo il balzo in avanti rispetto all’indagine 2019, quando la quota di chi lo utilizzava in piccola parte era addirittura del 60%.  
Passando alla valutazione del grado di competenza si ha che se il 13% dice di essere sicuro delle proprie competenze e il 50% afferma di esserlo sufficientemente, il 37% ammette delle carenze e la conseguente necessità di formazione. Pur in crescita rispetto al 2019, i dati raccontano di una realtà in cui le competenze BIM sono ancora distanti dall’essere consolidate, almeno per una quota non trascurabile di professionisti. 

Come per altri settori chiave della nostra economia – ma si potrebbe allargare la riflessione all’intera società – la presenza o meno di una seria e capillare attività formativa diviene il discrimine fra la possibilità o meno di crescita e sviluppo. Senza di essa, infatti, lo straordinario potenziale del BIM rischia non tanto di andare sprecato, ma piuttosto di essere sottoutilizzato o ritardato nella sua diffusione, con conseguenti impatti negativi sul settore in termini di efficienza (tempo e risorse economiche impiegate), di sostenibilità ambientale (grazie all’applicazione di logiche circolari) e di competitività (nei riguardi di competitor stranieri). 
Università, enti di formazione, associazioni, ma anche società di consulenza come Bureau Veritas sono coloro che, oggi, possono sostenere soggetti pubblici e privati nell’indispensabile attività di trasferimento di conoscenze.

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