Digital Transformation? È anche una questione di processo e di persone
La trasformazione 4.0 che da qualche anno sta coinvolgendo – e rivoluzionando – il settore produttivo e quello dei servizi è caratterizzata anche da profondo cambio sul versante tecnologico. Quindi, tecnologie più avanzate – rappresentate da nuovi strumenti e macchinari – vanno a sostituire altre, ormai divenute obsolete. Come è stato ai tempi del passaggio al vapore, all’elettricità o all’informatica, così accade oggi con l'avvento del digitale.
E un imponente sforzo di rinnovamento tecnologico quale quello dell’Industria 4.0 ha impattato tanto sul sistema produttivo, quanto su quello del lavoro, generando cambiamenti sui modi e sui tempi (compiti e orari, per esempio) oltre che sui luoghi fisici – che siano essi un ufficio o una fabbrica – con importanti rimodulazioni degli spazi.
In questi primi anni di Rivoluzione digitale, le aziende italiane hanno concentrato la loro attenzione soprattutto sul rinnovo degli asset. Grazie anche a una favorevole politica di incentivi (“iper e super ammortamento”), le aziende del nostro Paese hanno acquistato nuovi macchinari, installato nuovi software, modificato linee produttive. Un’operazione doverosa e forse non rinviabile di aggiornamento tecnologico di massa, che tuttavia – vista in prospettiva – risulta incompleta, con la parte di “processo” molto spesso trascurata.
Un elemento per nulla secondario considerando che la digital transformation in cui siamo immersi può dirsi efficace ed effettiva solo se si raggiunge un’integrazione e ottimizzazione tra tecnologia e processi produttivi e organizzativi. L’inserimento di una nuova tecnologia all’interno di un sistema genera, infatti, degli impatti trasversali alle diverse aree che devono essere conosciuti, controllati e guidati. In caso contrario, si rischia che l’innovazione tecnologica su cui si è deciso puntare: o non è pienamente utile o è ininfluente sui risultati o, scenario peggiore, si rivela dannosa. Tutto questo in luogo di portare valore aggiunto immaginato.
Dimenticarsi la parte di processo significa anche, trascurare coloro che al processo partecipano e si conformano, le risorse umane. Sono queste ultime, gli elementi decisivi in grado di determinare con il loro comportamento il successo (o l’insuccesso) delle scelte operate dall’azienda in direzione della digitalizzazione. Sono i lavoratori (a seconda delle funzioni e dei ruoli) che con l’innovazione devono confrontarsi, ad avere in mano la chiave per rendere compiuta la trasformazione digitale.
“Le persone sono il motore del cambiamento” è una frase che ben sintetizza l’importanza che la volontà ha nei processi decisionali. Nel nostro caso – quello dei processi 4.0 – per render ancora più vera questa espressione bisognerebbe aggiungere a “persone” le qualificazioni “formate” e “informate”. In altri termini, vuol dire che di pari passo all’introduzione di nuove tecnologie va sviluppata una cultura dell’innovazione. Essa è declinabile in due momenti: uno più propriamente formativo e specialistico, serve a rendere la risorsa in grado di utilizzare al meglio (maneggiare) la tecnologia; senza questo passaggio il rischio più grande è lasciare l’asset su cui si è investito inutilizzato o sottoutilizzato.
L’altro, più organizzativo e aziendale, ha come obiettivo quello di rendere le risorse partecipi e consapevoli del cambiamento in atto, così che l’approccio sia più orientato all’accettazione e alla proattività che alla resistenza e alla reattività.
L’innovazione, infatti – con le sue dirompenti potenzialità – ha bisogno di essere gestita e guidata. Un’esigenza che le aziende hanno cominciato a comprendere con l’esperienza. In special modo quando si sono accorte che non sono stati raggiunti i risultati attesi.
Come rimediare o, meglio evitare i pericoli di un’innovazione senza guida?
In questo senso, discipline emergenti come il Digital Innovation management, accompagnando le aziende nella gestione dell’innovazione, dalle fasi di processo di trasformazione digitale 4.0 alla gestione strategica e operativa che ne deriva, hanno il compito di prevenire tali problematiche. In un’ottica di integrazione a tuttotondo o che forse sarebbe meglio definire “olistica”, visto che il tutto risulta essere qualcosa in più della somma algebrica delle singole parti di cui è composto.
Quindi, grazie a un lavoro di valutazione sugli aspetti tecnologici, comportamentali e l’analisi dei vincoli, viene preparato un piano d’azione che tiene conto delle potenzialità dell’azienda, delle tecnologie implementate o da implementare, della valorizzazione delle risorse umane. Così da evitare ritardi, resistenze, incomprensioni e dunque, impatti negativi sul business e sull’organizzazione nel suo complesso.
Protagonista della Digital innovation è l’Innovation manager. Si tratta di un professionista in grado di capire e indirizzare l’azienda nella scelta di quali tecnologie, modelli organizzativi o di business sia meglio adottare per rimanere competitivi sul mercato globale. Le sue caratteristiche, oltre a quelle generiche di esperienza di innovazione, digitalizzazione e impresa 4.0, dovranno abbinarsi degli specifici settori di contesto.
Quindi a solide e verticali competenze tecniche, deve affiancare skill più trasversali o, come vengono ormai definite, soft. Capace di affrontare sfide e problemi, open minded e pronto di fronte ai cambiamenti, curioso riguardo a quanto accade all’esterno, ricettivo e predisposto all’ascolto rispetto a quanto succede all’interno dell’organizzazione: ecco altri caratteri fortemente richiesti.
Pur condividendone alcuni tratti, l’Innovation manager è diverso sia dalla figura dell’Esploratore – incentrata più sulla selezione dei Partner, la valutazione e scouting delle opportunità – sia da quella dell’Evangelista dell’innovazione, orientato verso l’introduzione e sviluppo di nuove metodologie per favorire il cambiamento culturale in azienda rivolto a tutte le restanti Line of Business
Infatti, come dipendente o consulente d’azienda, l’Innovation manager ha il compito di sviluppare un piano concreto di intervento, con obiettivi, priorità, misure. Nell’avviare percorsi di trasformazione in ambiti trasversali, pensati per far emergere nuove prospettive ed opportunità per l’azienda, non prende in considerazione solo nuove tecnologie ma anche progetti di innovazione competitiva che tengano conto dell’integrazione delle tecnologie con fattori rilevanti, quali:
• soluzioni tecnologiche innovative organizzativamente ed economicamente sostenibili;
• attenta valutazione della struttura organizzativa e del grado di maturità digitale dell’organizzazione per il processo di trasformazione;
• definizione dei nuovi obiettivi strategici necessari alla competitività e all’aggiornamento costante dell’organizzazione.
Una figura di cui le imprese, come si diceva poc’anzi, hanno incominciato a comprendere l’utilità.
Oggi, infatti, il 27% delle aziende con più di 50 dipendenti ha già creato un ruolo o una Direzione di Innovation Management, nata all’interno della Direzione ICT, o come riporto di un’altra Direzione o del vertice stesso, in alcuni casi diffusa in cellule in tutta l’organizzazione (Survey della Digital Transformation Academy degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano). Non solo. Il 97% degli imprenditori ritiene la figura dell’Innovation Manager sempre più strategica, in almeno tre ambiti: quello dell’innovazione, quello della cultura di impresa e dell’aumento dell’efficienza (indagine 4Manager 2019).
L’importanza dei processi e di qualcuno che sappia guidarli è, nel caso dell’Industria 4.0 ancora più evidente visti gli impatti che essa ha su questioni cruciali per un’organizzazione e il suo business quali la sicurezza, la progettazione, l’ottimizzazione delle risorse, l’efficienza e la capacità produttiva.
A questi, se ne aggiunge un altro che, con tutta probabilità andrà a influenzare le scelte di politica economica da qui ai prossimi decenni, ovvero l’impatto sull’ambiente.
Per rimanere competitivi sui mercati – ottemperando alle leggi presenti e con tutta probabilità future in materia ambientale – un’azienda non può che impegnarsi affinché digital transformation e sostenibilità convergano in un unico punto. Così da produrre secondo una logica sempre più circolare: dalla progettazione fino al fine vita.