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Additive Manufacturing. Da esperimento a realtà regolamentata

Mag. 27 2021

A quasi un decennio dall’introduzione del concetto di Industria 4.0 e dall’applicazione delle sue logiche, vi è stato un cambiamento irreversibile nei processi di produzione, delle modalità di approvvigionamento delle materie prime e di gestione dei magazzini. All’interno dei siti industriali e di distribuzione sono stati progressivamente apportati miglioramenti e ottimizzazioni che hanno trasformato la “fabbrica” in qualcosa di completamente differente rispetto a quanto fino a lì conosciuto.
Tra gli elementi che hanno contribuito al cambiamento, oggi ancora in atto, vi è anche quella modalità di produzione nota come additive manufacturing. Un sistema per la realizzazione di componenti attraverso l’utilizzo della stampa 3D. Benché questa tecnologia sia nota sin dagli anni Ottanta del secolo scorso, essa è rimasta a lungo relegata alla realizzazione di prototipi o piccoli oggetti. Solo in anni recenti, grazie alla forte accelerazione tecnologica del digitale e allo sviluppo di software adeguati, è diventata meno onerosa e, per questo, sempre più frequentemente inserita all’interno della produzione.
Fra le ragioni d’interesse nei confronti dell’additive manufacturing vi è quella di poter costruire in autonomia parti di ricambio o componenti, con importanti impatti in termini di efficientamento dei processi produttivi e di riduzione dei costi. È sufficiente pensare ai riflessi positivi sia sul magazzino sia sul normale svolgimento dell’attività: 
- minore immobilizzazione di risorse economiche che potrebbero essere investite in altro
- ridotto rischio che le componenti di ricambio, in attesa di essere utilizzate, invecchino
- abbattimento dei tempi di fermo-macchine nel caso di guasti 
- maggiore disponibilità nell’avere pezzi altamente personalizzati per soddisfare ogni specifica esigenza.

L’ampia autonomia che si profila all’interno dell’orizzonte industriale, viene però a scontrarsi con gli obblighi normativi. Infatti, nel passaggio da stato di “prototipo” a quello di “componente funzionante”, qualsiasi parte utilizzata all’interno di un processo deve rispettare le normative CE
Per salvaguardare da un lato la possibilità dell’azienda nel produrre internamente i componenti di cui ha bisogno e dall’altro rispettare le direttive internazionali, è possibile richiedere l’aiuto di un ente esterno che certifichi la bontà di ogni componente auto-prodotto. 
In che modo? Il manufatto in oggetto viene sottoposto ad accurate analisi e a test di laboratorio, attraverso i quali vengono stabilite la qualità e la tipologia del materiale utilizzato e la sua resistenza. Le caratteristiche del prototipo sono registrate e fissate in modo da poterle replicare in serie, contestualmente viene valutato il rispetto delle normative. Se al termine dell’esame i risultati ottenuti saranno positivi, il componente potrà essere dichiarato conforme ed ottenere il marchio CE.
Il percorso di certificazione dei prototipi è obbligatorio, oltre che opportuno. Infatti, in caso di malfunzionamenti o di incidenti anche lievi sarà l’azienda a risponderne penalmente, con il rischio di incorrere in sanzioni. In ambito industriale le componenti prodotte con l’additive manufacturing ricadono sotto il d.lgs 81/2008 della tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e, in parte, sotto la direttiva dell’Unione europea 2006/42/CE o direttiva macchine.

Già esistono realtà industriali che hanno scelto di cogliere l’opportunità offerta dall’additive. Fra queste vi è Wärtsilä, gruppo finlandese, specializzata nella produzione di sistemi di propulsione e generazione di energia per il settore marino e terrestre. La società aveva la necessità di trovare un accessorio per il sollevamento dei pistoni navali da utilizzare durante le operazioni di manutenzione al motore in sala macchine. Lo strumento doveva essere maneggevole e poco ingombrante e al contempo estremamente affidabile. Allo studio del progetto è seguita la realizzazione del prototipo con la stampa 3D. Ciò che ne è risultato è un’accessorio realizzato in materiale plastico con un peso di soli 1,7 kg – contro gli 8 kg del precedente – in grado di reggere un carico massimo di 1300 kg senza subire deformazione alcuna. Non solo, una volta smontato con facilità, occupa uno spazio limitato. Superate le fasi di test, Bureau Veritas, quale ente di parte terza, ha certificato la conformità del manufatto alle normative, permettendo a Wärtsilä di produrne la quantità necessaria, con i vantaggi poco fa elencati.

ADDITIVE MANUFACTURING: GLI SCHEMI DI CERTIFICAZIONE

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