Agricoltura 2021? Sicura, bio, sostenibile e circolare
CERTIFICAZIONI E CONTROLLI A GARANZIA DELLE SCELTE ALIMENTARI DEGLI ITALIANI
1. Il biologico, una certezza in forte espansione
Moda, idee o innovazioni tecnologiche: tra gli aspetti che, se osservati, aiutano a cogliere i cambiamenti, potremmo includere anche le abitudini alimentari. Nello specifico, poi, l’evoluzione del consumo di prodotti biologici o sostenibili diviene un interessante metro per valutare la trasformazione delle nostre società almeno negli ultimi vent’anni. E non solo sul versante delle scelte strettamente alimentari, ma anche quelle di consumo quale espressione di orientamenti socio-culturali.
I dati mostrano con chiarezza come da elemento marginale e originale - in cui credevano pochi pionieri mossi dal desiderio di nutrirsi in maniera ecologica e salutare - il biologico sia divenuto fenomeno di massa: + 546% di crescita nel giro di venti anni circa, passando da poco più di 10 milioni di ettari di campi coltivati del 1999 a oltre 71 milioni (FiBL & IFOAM 2020) del 2018. Lo stesso dicasi per i numeri del mercato retail, con il raggiungimento di 97 miliardi di dollari di valore nel 2018.
Ma non ci si ferma qui. Benché passato quasi sotto silenzio – anche perché annunciato in piena emergenza COVID, nel maggio dello scorso anno – il piano della Commissione europea sul biologico segna una forte accelerazione sul fronte della sostenibilità nell’agroalimentare. Con la pubblicazione del documento Farm to Fork (Dal produttore al consumatore), l’Europa comunitaria detta tempi e modi per giungere a un sistema alimentare sempre più sostenibile e sano. Tra gli obiettivi da centrare da qui al 2030 vi sono: la riduzione del 50% nell'uso di pesticidi chimici e dei fitofarmaci in agricoltura e del 20% dei fertilizzanti, meno 50% dei consumi di antibiotici per gli allevamenti e l’acquacoltura e – quello che ora ci interessa – arrivare al 25% dei terreni destinati all'agricoltura biologica. Che sia un’importante scelta strategica, lo sottolineano anche le parole del vicepresidente della Commissione Timmermans, quando definisce Farm to Fork il “fulcro del Green Deal”, cioè la linea politica che guiderà le scelte dell’Unione nei prossimi decenni in materia di economia e ambiente.
Oggi a che punto siamo? Se l’Oceania (e in particolare l’Australia) è saldamente in vetta per milioni di ettari destinati al bio, il maggior aumento delle superfici è tutto europeo con 1,2 milioni di ettari nel 2018 (+8,7), con la Ue che sale a oltre 13 milioni di ettari. Una crescita che sembra finalmente mettere al passo l’offerta con l’importante incremento della domanda. Infatti, guardando all’ultimo decennio, se la superficie biologica dell’Unione è cresciuta del 65%, le vendite sono più che raddoppiate (BioReport 2019).
In questo contesto l’Italia si muove bene, occupando una posizione rilevante all’interno del panorama europeo e mondiale. E ciò avviene tanto per superficie coltivata, vicinissima ai 2 milioni di ettari, che per numero di produttori, oltre 69mila. Ugualmente buono il valore di mercato con 6,9 miliardi di euro (Osservatorio Sana 2020), terzo in Europa e con una crescita in dieci anni più che raddoppiata (+118%). Ottimi, poi, i risultati delle esportazioni, superiori ai 2.600 milioni di euro nel 2019, con tassi medi intorno al +10%.
Numeri e scelte strategiche che raccontano di una realtà nella quale produrre e consumare bio sarà sempre più “la norma” e sempre meno l’opzione “alternativa”. Un cambiamento che ognuno di noi - in veste di consumatore – avrà certamente notato, anche solo per gli spazi che i prodotti biologici hanno occupato all’interno dei punti vendita, GdO in primis.
2. Le scelte di consumo? Si fondano sulla garanzia di sicurezza
Ma il biologico non è che un aspetto. Ad esso si va affiancando un'altra abitudine di consumo, magari meno codificata, ma che fa della consapevolezza e della ricerca di prodotti alimentari “sani, sostenibili, sicuri” e, perché no, locali (o italiani) i suoi punti cardine.
Una tendenza aumentata durante il 2020, specialmente nei periodi segnati dai lockdown stabiliti per contenere la diffusione del virus. Per esempio, le vendite a valore dei prodotti healthy durante il primo periodo di confinamento hanno fatto segnare un + 7,3%. Non solo, 1 italiano su 2 afferma che una volta rientrata l’emergenza sanitaria incrementerà la frequenza di acquisti di food locale rispetto al pre-COVID. Inoltre, 1 su 3 prevede di aumentare la propria spesa in prodotti alimentari sostenibili nel 2021; mentre saranno 1,7 milioni gli italiani che li sperimenteranno per la prima volta a emergenza finita.
Ecco allora che, per 1 un cittadino su 2, “italianità” e provenienza territoriale del cibo – meglio se local – divengono elementi di valore in grado di indirizzare la spesa. Un’esigenza che agli occhi dell’acquirente non deve riguardare solo il prodotto lavorato e trasformato, ma coinvolgere anche le materie prime di cui è composto (Rapporto Coop 2020).
In questo senso, per far sì che questi orizzonti valoriali o, se si preferisce, orientamenti di consumo possano concretizzarsi in reali scelte di acquisto, non si può non assegnare un ruolo chiave a controlli, ispezioni e certificazioni. Senza di essi, infatti, verrebbero meno quegli strumenti in grado di garantire e rassicurare tutti i soggetti interessati, dai produttori fino a noi che ci rechiamo a fare compere, che il bene acquisito risponda pienamente ai criteri ricercati: sicurezza, tracciabilità e sostenibilità.
Se nei prodotti a marchio “bio” tutto questo è chiaro ed evidente, con la certificazione elemento distintivo e qualificante, da mostrare sotto forma di etichetta o dicitura, per altri alimenti lo è meno. Eppure esiste una serie importante di azioni obbligatorie e volontarie che gli operatori del mondo dell’agrifood – produttori o le industrie della trasformazione – devono e possono utilizzare per rendere garantite le merci che realizzano o trattano. Una tematica non trascurabile per le quasi 57mila imprese dell’agroalimentare italiano (Istat 2016) visto che per trasformarsi da materia prima in prodotto finito, un alimento affronterà diversi passaggi. E tanto più numerosi saranno i passaggi, quanto più si renderanno necessari controlli frequenti affinché gli standard di produzione vengano garantiti e mantenuti sino a raggiungere il consumatore finale.
Guardiamo la questione da un’altra prospettiva, limitandoci ad osservare le tappe iniziali del percorso di alcune tra le più comuni materie prime, come cereali, leguminose, semi oleosi od olii vegetali. È possibile identificare almeno 4 momenti nei quali può essere utile ricorrere a un procedimento di verifica e controllo: esame del terreno coltivabile, ispezioni sul terreno coltivato, modalità di trasporto e sui luoghi di stoccaggio dei prodotti raccolti, compravendita delle materie prime.
Una volta consegnata all’acquirente, la materia prima proseguirà il suo percorso per essere trasformata in prodotto finito. Dall’analisi di questi primi e delicati passaggi è facilmente comprensibile quale sia l’importanza del monitoraggio, verifica e certificazione di ogni fase.
L’analisi e la certificazione dello stato della merce, infatti, consentono la tutela degli interessi di ciascun attore. Ovvero del:
- coltivatore che dall’esame dei dati raccolti sullo stato del terreno, delle colture e dei luoghi di stoccaggio potrà preventivamente evitare errori che potrebbero danneggiare raccolto e attività, e nel caso di monitoraggio delle colture potrà somministrare le cure più adeguate a ciascun lotto di terreno coltivato, evitando così sprechi di materiali (fertilizzanti o pesticidi) e interventi superflui (che si tradurrebbero in giornate di lavoro)
- produttore-acquirente che, nelle fasi di compravendita, vede garantiti qualità e quantità della merce acquistata
- consumatore finale che, grazie agli accorgimenti dei primi due soggetti, beneficerà di un prodotto di alta qualità, certificato (in alcuni contesti) e dal costo più contenuto, poiché le attenzioni alle voci precedenti hanno consentito il risparmio di denaro e tempo.
3. Biologici, sicuri e...circolari
A supporto di un’agricoltura sempre più sostenibile e circolare vi è lo strumento della certificazione volontaria ISCC Plus cioè International Sustainability and Carbon Certification Scheme. Si tratta di uno schema che permette di dimostrare la sostenibilità dell’intero processo produttivo: delle materie prime, dei prodotti intermedi e dei prodotti finali e della supply chain. Lo schema può essere applicato alla catena di produzione dei prodotti alimentari, bio-based, chimici o tecnici, di mangimi, ma anche a quella di biomasse ad uso energetico.
Ottenendo la certificazione le aziende dimostrano il proprio impegno nel produrre in modo responsabile, secondo le logiche di bioeconomia e di circolarità, riutilizzando gli scarti di produzione o trasformando i rifiuti in energia, secondo il paradigma del waste to energy.
Tra i sei principi fondamentali che caratterizzano l’ISCC Plus, particolarmente calzante è il secondo. Dedicato alle buone pratiche agricole e forestali, esso copre gli ambiti del suolo, dell'aria, dell'acqua e dei rifiuti e stabilisce i requisiti per prevenire la contaminazione, il degrado e l'esaurimento dell'ambiente a seguito della produzione agricola.
Nell’ottica di uno sviluppo sostenibile e degli obiettivi prefissati dal Green Deal, sarà sempre più fondamentale poter disporre di una rete integrata di controlli come quelli proposti dallo schema ISCC Plus.