Agrivoltaico: una soluzione sempre più scelta. Ma che necessita di esperti
È nell’espressione “consumo di suolo” che si sviluppa l’oramai datato e, talvolta, conflittuale rapporto tra sistemi fotovoltaici e agricoltura. Conflittuale poiché entrambi necessitano di spazi per potersi sviluppare e dare i propri frutti.
E con la diffusione del fotovoltaico questa contrapposizione è diventata manifesta: dove vi erano i pannelli non rimaneva, infatti, posto per le colture (e il pascolo). Si era di fronte a un aut aut, con il concreto rischio che la produzione di energia rinnovabile diventasse per il possessore del campo un’opzione preferibile a quella della coltivazione, con tutte le prevedibili e negative conseguenze che ne derivavano.
Com’è noto, per evitare questa deriva, la legislazione – sull’onda di ripetute manifestazioni di protesta di amministrazioni locali e comitati cittadini – ha posto forti limiti alla conversione di terreni agricoli in campi fotovoltaici (anche attraverso l’impossibilità di ottenere gli incentivi statali – art. 65, Legge n. 27 del 24/03/2012).
Con il passare degli anni la questione è rimasta più che mai aperta. Infatti, se da un lato è doveroso salvaguardare spazio per l’agricoltura, dall’altro l’urgenza di rispondere concretamente agli effetti del climate change porta, sempre più, a prediligere l’utilizzo di fonti rinnovabili per far “muovere” le nostre società. Una decisione in linea con l’obiettivo europeo di giungere al 42,5% dei consumi finali di energia elettrica da FER entro il 2030. Non solo. Bisogna considerare che diversi Stati dell’Unione, Italia compresa, quando si è trattato di aggiornare i Piani nazionali integrati per l’energia e il clima (Pniec) hanno aumentato notevolmente i proprio obiettivi al 2030 sul fotovoltaico.
Quindi, se le coperture degli edifici sono diventate – in maniera crescente – luoghi scelti per installare i pannelli, esse non sono sufficienti: il contributo del fotovoltaico per un’energia decarbonizzata potrebbe essere ancora più importante se vi fossero più spazi disponibili oltre ai tetti (come stimato da associazioni quali Italia Solare, Legambiente, Green Peace e WWF).
Una risposta a questo problema l’ha data la ricerca, introducendo il sistema detto agrivoitaico o agrisolare. Come suggerisce il nome stesso, esso vuole rappresentare quello che fino ad ora non si è potuto avere: l’integrazione fra i due modi per sfruttare un terreno. Quindi, niente più contrapposizione – con una soluzione che esclude l’altra – ma fruttuosa convivenza.
Ciò può accadere grazie al sollevamento da terra dei pannelli fino a 5 metri, lasciando così il campo libero di essere coltivato. E questo non è l’unico – seppur importante – vantaggio di questo sistema.
Dalle evidenze emerse già dalle prime sperimentazioni cominciate in diversi Paesi dagli anni Dieci in poi, hanno dimostrato come l’ombra generata dai pannelli abbia benefici sulle coltivazioni. Innanzitutto, perché protegge la crescita di certe colture che, pur necessitando di luce, possono soffrire per il troppo calore. L’effetto è una produzione migliorata nella qualità e aumentata nella quantità (come evidenzia uno studio del prestigioso Fraunhofer Institute for Solar Energy Systems ISE).
E non solo. La copertura svolge anche il compito di proteggere ciò che le sta sotto dalla violenza di certi fenomeni meteorici estremi (come purtroppo abbiamo imparato a conoscere).
Inoltre, la maggior presenza di zone ombrose influisce anche sul consumo di acqua: abbassandosi la temperatura del suolo e riducendosi l’evaporazione, si contiene anche la quantità necessaria durante le operazioni d’irrigazione.
Infine, l’umidità prodotta dalle piante sottostanti porta benefici ai pannelli, più efficienti nelle prestazioni grazie a temperature più basse.
Per quanto riguarda il funzionamento, si distinguono sostanzialmente due tipologie di impianto: con pannelli fissi (tanto in verticale, come in orizzontale) e ad “inseguimento solare”, ovvero con moduli costruiti in maniera da ruotare, seguendo, per l’appunto, la luce del sole. A loro volta, questi ultimi, possono avere o un solo asse (mono-assiali) o due assi (bi-assiali).
A livello globale, gli analisti vedono un futuro di grande sviluppo, per un mercato attrattivo che varrà 9,3 miliardi di dollari entro il 2031, con un tasso di crescita annuale del 10,1% e una potenza installata da 5 megawatt nel 2012 a 2,9 gigawatt nel 2020. Un incremento che, senza dubbio, sarà agevolato anche dalla messa in pratica di politiche incentivanti e dalla distribuzione di sostanziosi contributi a fondo perduto come quelli previsti del PNRR europeo. A questo proposito, la misura detta “Parco Agrisolare” (Missione 2, componente 1, investimento 2.2) mette a disposizione per gli anni 2022-2026 1,5 miliardi di euro, da distribuire con bando (che si aprirà nel prossimo settembre).
E se non è un azzardo affermare che una parte di futuro del fotovoltaico sarà l’agrivoltaico, tuttavia, è opportuno considerare che realizzare un impianto di questo tipo è un’operazione tutt’altro che semplice. Essa necessita, infatti, di una serie di competenze e professionalità molto diversificate e trasversali fra loro, e ciò in tutte le fasi, dall’iter autorizzativo, fino a quella progettuale e realizzativa.
Guardando solo alla prima fase e sapendo quanto in Italia sia complesso ottenere i “via libera” necessari, risulta fondamentale muoversi bene, per non rischiare di perdere tempo prezioso, bloccati da intoppi e ritardi di natura tecnico-amministrativa.
In questo senso è nata la collaborazione tra Bureau Veritas Italia e lo Studio legale Tonucci & Partners: fornire a chi vuole investire in progetti agrivoltaici un servizio di asseverazione tecnico-legale finalizzato al rilascio dell’attestazione di conformità dell’impianto alla normativa di settore e alle Linee Guida del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica. Ma non solo. Grazie alle competenze che operano in Bureau Veritas, l’offerta è allargata anche ad attività quali la validazione tecnica della fase di progettazione dell’impianto e il monitoraggio dell’esercizio.