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Cold ironing: decarbonizzare i porti per città più sostenibili

Apr. 26 2022

La relazione tra ambiente urbano, cittadini e infrastrutture portuali non è quasi mai stata semplice o priva di contraddizioni, se non addirittura di opposizioni. A seconda dei momenti e delle circostanze il porto è stato considerato o corpo estraneo o parte integrante, ostacolo da rimuovere o opportunità da coltivare, fonte di pericolo o fattore di progresso. Quindi alternando fasi di contaminazione e altre di netta separazione, il porto ha condizionato – e tuttora condiziona – in positivo e in negativo gli ambienti metropolitani, la loro crescita dal lato socio-economico ed urbanistico e il modo con cui i cittadini li abitano. Un legame complesso e profondo che può essere compreso anche solo visitando storiche città portuali come Marsiglia, Amburgo, Napoli, Genova o Rotterdam.

E oggi? Su quale valore dovrebbe fondarsi la relazione tra infrastrutture portuali e resto della città? Come ormai accade per tutti gli altri ambiti della nostra contemporaneità, si tratta della sostenibilità ambientale e dei modi per il suo pieno raggiungimento. Nel caso specifico, la questione ha anche contorni di urgenza, visto l’impatto che i porti hanno sull’ambiente e, di riflesso sulla qualità della vita delle persone.

Le navi inquinano producendo importanti quantità di ossido di zolfo, anidride carbonica e ossidi di azoto e ciò avviene sia quando sono in movimento che quando sono ormeggiate. A un’importante impronta di carbonio riconducibile ai trasporti marittimi (2,89% delle emissioni di gas serra globali, secondo IMO), segue anche un altrettanto serio problema di inquinamento generato all’interno del porto. Mercantili, portacontainer, pescherecci e navi da crociera, infatti, una volta in banchina devono continuare a utilizzare strumentazioni, dispostivi e macchinari necessari alle operazioni logistiche e alla vita a bordo.

E per farlo hanno due strade: una è tenere accesi i motori ausiliari o di bordo e l’altra è ricevere elettricità da terra. La prima soluzione, quella oggi diffusa ha un considerevole impatto sull’ambiente, anche quando vengono usati carburanti con minore concentrazione di zolfo.

In base ai dati di una ricerca dell’organizzazione Transport & Environment, le emissioni “all’ormeggio” di un porto come Rotterdam raggiungono le 640 migliaia di tonnellate di CO2 l’anno, quelle di Anversa le 351 e al Pireo superano di poco le 200. La situazione italiana non è migliore, anzi. Benché tra gli scali più inquinanti vi sia solo quello di Genova in decima posizione, il nostro Paese occupa la prima per quantità di emissioni generate dalle navi considerando i principali porti lungo il litorale: 1.165 migliaia di tonnellate all’anno.

Una questione rilevante se si pensa che il 90% dei porti europei si trova in zone urbane altamente abitate (ESPO 2019). Per dare un’idea della portata del fenomeno spesso si ricorre al paragone con le automobili. Un esempio? In grandi città come Barcellona, Marsiglia e Amburgo, le navi da crociera hanno emesso durante l'attracco al porto da 2 a 5 volte più ossidi di zolfo rispetto a quello emesso dall'intera flotta di autovetture di queste città durante lo stesso anno (era il 2017).

Veniamo ora alla seconda possibilità che chiama in causa il cosiddetto processo di “elettrificazione dei porti” e dunque all’obiettivo di fornire energia alle navi dalla terraferma. Una soluzione di cui si dibatte ormai da qualche anno e che, oggi, con i 700 milioni di euro previsti dal Piano Nazionale Ripresa e Resilienza o PNRR può cominciare a prendere forma. In particolare, gli stanziamenti europei sono diretti allo sviluppo dei cosiddetti sistemi di cold ironing.

Di cosa si tratta? Il cold ironing è il processo di fornitura di energia elettrica da terra a una nave all'ormeggio mentre i suoi motori principali e ausiliari sono spenti. Ciò consente alle apparecchiature di emergenza, alla refrigerazione, al raffreddamento, al riscaldamento, all'illuminazione e ad altri apparecchi di ricevere energia elettrica continua mentre la nave carica o scarica il proprio carico o svolge altre attività mentre è ormeggiata.

Per fornire un servizio di cold ironing  è, quindi, necessario realizzare un’infrastruttura di terra legata alla rete elettrica nazionale composta da elementi quali: una sottostazione principale con il compito di collegare il porto alla rete elettrica, un convertitore di frequenza che fornisca livelli di frequenza di 50 o 60 Hz, un trasformatore in grado di adattare la tensione alle esigenze di potenza di diverse imbarcazioni e delle apparecchiature di connessione e di interfaccia, che consentano la trasmissione di energia elettrica da terra alla nave.

Il risultato è, dunque, evitare che i motori rimangano accesi con il seguito di emissioni inquinanti nell’aria. A questo si aggiunga anche l’azzeramento dei rumori, altra fonte di disagio per la cittadinanza. Non solo. Questa soluzione può essere ancora più green e sostenibile se si accoppia ai sistemi di cold ironing la generazione di energia elettrica da fonti rinnovabili grazie all’installazione di pannelli fotovoltaici (su tetti e coperture) e, in quei luoghi ventosi, di mini-eolico. In caso di completa sostituzione si arriverebbe a emissioni vicine allo zero.

Come si diceva, i finanziamenti del PNRR sono un incentivo alla messa in opera di questo sistema. Così come lo sono le legislazioni – specialmente quella comunitaria – che ha fatto della sostenibilità un pilastro strategico della propria politica di sviluppo. Tuttavia, gli sforzi da mettere in campo sono molti, specialmente dal lato burocratico per trovare standard di corrente validi a livello globale. Ugualmente bisogna ripensare e adattare le navi a questa tipologia di alimentazione.

Analogo discorso vale per la rete elettrica, che deve poter sostenere i bisogni energetici di utilizzatori fra di loro diversi. È infatti sufficiente immaginare due navi di grandi dimensioni, una portacontainer e l’altra da crociera con a bordo 4-5mila persone fra passeggeri ed equipaggio e ormeggiate in uno dei porti cittadini del nostro continente: i consumi della prima saranno ridotti rispetto a quelli della seconda, addirittura assimilabili a quelli di una cittadina di piccole dimensioni. 

La sfida che si prospetta è importante e complessa; tuttavia, non vi è altra valida alternativa che vincerla e superare le difficoltà. Perché la strada da percorrere è quella che va verso scelte concrete di sostenibilità ambientale.

In questo percorso, un gruppo come Bureau Veritas si pone a supporto di quei soggetti – autorità portuali, ma anche armatori - interessati allo sviluppo di sistemi di cold ironing. Lo fa partendo dall’analisi dei bisogni per passare attraverso le fasi di permitting e di autorizzazione fino al momento della costruzione, dell'installazione e dei test di verifica e collaudoUn compito che Bureau Veritas svolge in collaborazione con l'hub Green Ports , una cordata di aziende di alto profilo focalizzate sullo sviluppo di progetti di porti sostenibili.

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