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Eventi certo. Meglio se sostenibili

Giu. 26 2019

1.    Dai Pink Floyd a Jovanotti. Cos’è cambiato in 30 anni?
Concerti, grandi manifestazioni sportive, culturali e sociali, tour promozionali e fiere. Oggi un evento che non rispetta standard o criteri di sostenibilità ambientale difficilmente può dirsi completamente riuscito, pur avendo – in apparenza – centrato gli obiettivi di partecipazione o di coinvolgimento del pubblico. Specialmente se il committente o organizzatore da quell’evento desidera trarre non solo vantaggi di tipo economico – come la vendita di ticket connessi alla manifestazione – ma soprattutto reputazionali e, in generale, in relazione a ciò che ha a che fare con il “posizionamento” del proprio brand. 
Infatti, non considerare – per negligenza, incuria o scarso senso etico – le ricadute ambientali e sociali generate da un evento durante tutto il suo corso (pre, durante e post) significa incorrere in quelli che possiamo definire gravi danni d’immagine. 
Due esempi, fra loro differenti ma ugualmente significativi. Il primo è il megaconcerto che la band inglese Pink Floyd ha tenuto nel luglio del 1989 nella laguna di Venezia. Un evento memorabile tra il sogno di una cornice suggestiva unica (che tutti gli artisti vorrebbero) quale lo spazio in mare davanti a Piazza San Marco, e l’incubo di oltre 200mila persone che hanno invaso una città fragile e unica come Venezia, senza che vi fosse alcuna preparazione nell’accoglierli (servizi igienici, transenne, servizio d’ordine inesistenti), con inevitabile strascico fatto di cumuli di sporcizia e polemiche (la giunta comunale implose sotto il peso delle critiche). In un’epoca in cui il concetto di sostenibilità ancora era là da venire, l’evento veneziano è ricordato come esempio di negativo di incapacità e superficialità: i danni d’immagine furono enormi molto più di quelli materiali (che avrebbero potuto essere ingenti considerando il numero esorbitante di persone accorse). 
L’altro caso è molto più recente e riguarda la polemica fra Jovanotti e Reinhold Messner. Nell’aprile di quest’anno la pop star nostrana aveva annunciato l’intenzione di tenere un concerto a 2275 metri, a Plan de Corones, sulle Dolomiti, nel luogo in cui lo scalatore altoatesino ha aperto un museo dedicato alla montagna e alla storia dell’alpinismo. Messner, saputo del concerto si è detto contrario a eventi in posti di per sé non abituati a ospitare un numero eccessivo di persone (e di decibel), ritenendo il concerto qualcosa di “non necessario” che poco si accorda con la montagna e il suo ecosistema. Jovanotti ha risposto che è sua intenzione rispettare l’ambiente e, dunque, impegnarsi per “fare le cose per bene”; un’attenzione testimoniata dalla collaborazione che il cantante ha voluto stringere con il WWF proprio in funzione del tour “Jova Beach Party 2019”.  

2. Qualcosa è cambiato. L’approccio sostenibile
Al di là di come finirà la vicenda – il concerto è in calendario per il 24 agosto – o dell’opinione che ognuno ha in merito, resta comunque un fatto: i 30 anni che separano i due eventi (Venezia 1989-Plan de Corones 2019) evidenziano quanto responsabilità sociale e rispetto dell’ambiente (e dei luoghi) hanno smesso di essere solo idee e concetti astratti e siano, invece, diventati elementi concreti e dai quali non si deve prescindere quando si tratta di organizzare un evento. 
Il rispetto e la salvaguardia di persone e luoghi sono le basi sulle quali costruire una manifestazione pubblica. Ciò significa capire i bisogni delle parti interessate, prevenire o mitigare gli impatti negativi, valutare i rischi, studiare le soluzioni più efficaci in caso di imprevisti o emergenze. Ma non solo. Una manifestazione – specie se rientra nella categoria dei cosiddetti “grandi” o “mega” eventi – deve, inoltre, lasciare un segno, una traccia sul territorio che l’ha ospitato. Si tratti di elementi materiali (come opere infrastrutturali) o immateriali (benefici sociali, know-how, aumentata visibilità o reputation di una determinata area geografica): l’evento ha il dovere di consegnare in eredità qualcosa che arricchisca il luogo dove si è svolto. 
In questo senso, il dibattito sulla legacy di manifestazioni come le Olimpiadi è ricco di esempi di eredità positive – di cui hanno beneficiato le città che le hanno ospitate – ma anche di situazioni che, al contrario, hanno pesato per lungo periodo sulle comunità locali. Sono infatti considerate – in generale – “eredità” positive quelle di Barcellona 1992 (con il recupero di importanti aree industriali dismesse sul lungomare), di Sydney del 2000 (con la bonifica di zone contaminate) o di Salt Lake City del 2004 (chiuse con un utile di 100milioni di dollari). Negative invece le esperienze di Montreal del 1976 (disastrose dal punto di vista finanziario, sono state ripagate dai cittadini canadesi sotto forma di tasse) o di Atene del 2004 (sempre per problemi economici). Ma vi sono molti altri esempi di città che non hanno saputo sfruttare quanto lasciato in eredità dei Giochi, abbandonando a se stesse o sottoutilizzando le infrastrutture realizzate per quell’occasione. 
Fatte le debite proporzioni, anche eventi dalle dimensioni più ridotte, come possono esserlo quelli che le aziende organizzano per ragioni di marketing e comunicazione del brand, necessitano di un’attenzione particolare agli aspetti di sostenibilità. Riflettere preventivamente sui rischi e analizzare i possibili impatti negativi di un evento sull’ambiente e sul territorio sono le modalità più corrette ed efficienti per affrontarne la progettazione e l’organizzazione. Specialmente se non si vuole che quello che dovrebbe essere un momento di promozione si trasformi in un “boomerang reputazionale”. Attraverso l'organizzazione di eventi, le aziende infatti presentano ai loro pubblici se stesse, il proprio marchio, o la propria competenza: passi falsi, errori o mancanza di cura e sensibilità possono costare care. 
Ma non solo. Una gestione ambientalmente corretta ha un duplice effetto: mette al riparo dalla sindrome NIMBY di chi non desidera il proprio territorio coinvolto e smorza le proteste o le rimostranze da parte di singoli o gruppi di persone che si dimostrano contrari per motivi culturali, politici o religiosi. Pensiamo ai comitati NO EXPO prima del 2015 o all’opposizione di movimenti animalisti a certi spettacoli e manifestazioni.  
Una guida o prassi di riferimento per non sbagliare in questi frangenti è rappresentata dalla norma ISO 20121.
Basata sulla metodologia nota come Plan-Do-Check-Act, essa definisce i requisiti di un sistema di gestione sostenibile degli eventi.
I vantaggi?  Riduzione dei rischi associati e mitigazione dell’impatto ambientale dell'evento, ottimizzazione delle ricadute economiche e sociali, valorizzazione dell'immagine e rafforzamento della reputazione, spinta all'innovazione nella catena di fornitura. Non dimenticando anche la tutela di chi all’evento lavora, rendendolo possibile: anche in questo caso la norma ISO 20121 richiede il corretto impiego delle risorse umane in termini di salute, sicurezza e rispetto dei diritti contrattuali.
In caso di incidenti, anche gravi, a persone che stanno prestando la loro opera per la realizzazione dell’evento, il fuoco dell’attenzione cambia. Non si tratta più solo di danno all’immagine che deriva da una gestione poco accorta, ma anche di responsabilità – più o meno diretta – derivante dal non aver fatto il massimo per garantire l’incolumità di altri esseri umani.  
 

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