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Sostenibilità aziendale. Chiave per interpretare al meglio il futuro

Mar. 27 2019

1. La sostenibilità come strategia dell’azienda (non come sentimento delle persone)

Prima di entrare nel vivo dell’argomento, crediamo sia necessario sgombrare il campo da questioni che rischiano di inquinare le riflessioni intorno all’adozione di politiche di sostenibilità nel fare impresa.
Infatti, un errore ancora piuttosto comune è pensare che la sostenibilità in azienda sia la variante professionale e pubblica di comportamenti virtuosi messi in atto nel privato, una questione lasciata al sentimento e alla sensibilità del singolo individuo.
Un pre-giudizio che dice molto sulla confusione che ancora troppo spesso regna intorno al tema della sostenibilità e alle ragioni che spingono le organizzazioni aziendali - più o meno complesse - ad investire e ad adottare politiche di sostenibilità.
Anche nel caso in cui attenzione al sociale e all’ambiente facessero parte del bagaglio personale di coloro che governano un’azienda, la riflessione non deve indulgere su di essi, ma dirigersi sempre sulle valutazioni dell’impatto che la sostenibilità può avere sull’attività, sull’organizzazione e infine sui risultati.
Il rischio, altrimenti, è quello di entrare nel vastissimo - e in questo caso dannoso - campo delle opinioni personali, delle sensazioni e dei sentimenti.

In questo senso, Larry Fink, presidente della più grande società d’investimento finanziario del mondo, l’americana BlackRock, ha recentemente sottolineato l’importanza di “promuovere l’adozione di prassi aziendali che nel lungo periodo contribuiscano a realizzare obiettivi di crescita e redditività sostenibili”. Che l’aggettivo “sostenibile” non sia stato scelto causalmente, è chiaro leggendo la frase seguente quando dice che “alle soglie del 2019, l’impegno verso un approccio lungimirante appare più importante che mai, in uno scenario mondiale sempre più fragile e, di conseguenza, esposto alle scelte di aziende e governi di breve termine” (fonte: BlackRock).

2. La sostenibilità: benefici duraturi da valutare sul medio-lungo periodo

Ma perché un’impresa dovrebbe adottare strategie sostenibili? Quali vantaggi ne ricaverebbe?
Una risposta piuttosto chiara è quella proposta in un documento del 2011 della Commissione Europea. Lì si dice che “un approccio strategico nei confronti del tema della responsabilità sociale delle imprese è sempre più importante per la competitività. Esso può portare benefici in termini di gestione del rischio, riduzione dei costi, accesso al capitale, relazioni con i clienti, gestione delle risorse umane e capacità di innovazione” (fonte: Commissione Europea).
 
Un approccio sostenibile nella gestione aziendale garantisce vantaggi alle imprese sotto diversi punti di vista.
1. La sostenibilità sociale, quale garanzia e rispetto degli stakeholder interni ed esterni (lavoratori, fornitori, clienti, investitori etc.) ha impatti positivi sulla fiducia che questi nutrono verso l’azienda. Nel caso dei dipendenti, un maggiore attaccamento all’organizzazione aziendale per la quale lavorano e una riduzione del turn-over portano meno perdite di know-how e di talenti, meno dispendio di risorse e tempo nella selezione e nella formazione. Analogo discorso di loyalty può riguardare clienti e investitori.
2. La sostenibilità ambientale, come scelta per pratiche a basso impatto sull’ambiente, ha ricadute positive sui costi. L’efficientamento dei processi, così come l’adozione di misure di efficienza energetica, sono in grado di portare a importanti risparmi monetari.
Adottare pratiche di sostenibilità si ripercuote anche sulla catena dei fornitori. Lavorare con dei principi e delle regole di sostenibilità e con chi queste regole le rispetta, fornisce più garanzie e minimizza i rischi. In questo senso scegliere solo quei fornitori che si sono sottoposti a un processo di certificazione significa abbassare i pericoli di inadempienze e avere più garanzie di serietà e rispetto dei contratti. Con evidenti vantaggi sulla business continuity che più difficilmente subirà interruzioni legate a un mancato rispetto delle norme.

3. Il mercato della sostenibilità: tra un’élite di aziende all’avanguardia e molte che stanno iniziando il percorso

Ma quante sono le aziende consapevoli dell’importanza di un approccio sostenibile? Oggi decisamente più che nel recente passato. Tra coloro che sanno cosa significa avere un approccio sostenibile si distinguono due tipologie, una prima che possiamo chiamare, delle “pioniere” e, una seconda, di cui fanno parte quelle che hanno intrapreso il cammino e si sforzano per diventarlo.
1. Le aziende pioniere sono quelle che hanno guardato avanti informandosi e immaginando il futuro, sposando una politica di sostenibilità quando ancora la parola non era entrata nel dibattito pubblico. In queste aziende, che percentualmente non arrivano al 10% del totale, l’atteggiamento pionieristico e coraggioso si è saldato a una politica lungimirante e una calcolata strategia a medio-lungo termine. Esse integrano la sostenibilità nel piano industriale, facendola coincidere - in un certo senso - con la gestione stessa dell’azienda. Oggi, ad almeno dieci anni di distanza, cominciano a raccogliere i frutti di quanto seminato: riduzione dei costi, efficientamento dei processi, reputazione, vantaggio competitivo. Solitamente vi sono due elementi che indicano quando un’azienda punta su un approccio sostenibile e dunque può a buon diritto rientrare in questo ancora ristretto club, ovvero:
a. la presenza nel piano d’impresa di reali obiettivi di sostenibilità
b. i criteri di valutazione dell’operato del management tengono in considerazione anche gli obiettivi di sostenibilità (e non solo voci come “vendite, costi e risparmi, etc.”)
2. Vi è poi un nutrito gruppo di imprese che, pur non essendo arrivate all’integrazione propria delle prime, sta proseguendo - a vari livelli - il percorso verso la sostenibilità. Se rispetto alle pioniere, l’azione risulta essere sporadica e meno integrata, essa è comunque presente nella vita dell’azienda. E ciò fa ben sperare per un incremento dell’approccio sostenibile all’interno dei processi, tanto per quantità come per qualità.

4. Cosa spinge un’impresa a intraprendere il percorso della sostenibilità?

Non è sempre la convenienza a spingere un’azienda verso un approccio più sostenibile. O meglio, accade che i benefici in termini economici e i risvolti positivi sull’organizzazione e sui processi aziendali vengano compresi solo in un secondo momento. Spesso il driver che muove al cambiamento viene dall’esterno ed è riconducibile alle richieste più o meno esplicite di clienti e stakeholder. È evidente nel caso di grandi aziende o marchi che hanno a che fare con il mercato B2C.
Non è un caso che il Rapporto Coop 2018 sottolinei come sempre più le preferenze dei consumatori italiani vadano verso quelle aziende con un approccio sostenibile, in primis nei riguardi dell’ambiente. In cifre: nei primi 6 mesi dell’anno passato, le vendite di prodotti ecologici e responsabili hanno quasi raggiunto quota 2 miliardi di euro, contro i 3,6 di tutto il 2017.

Tuttavia, non bisogna nemmeno cadere nell’errore di considerare il consumatore come la sola e unica guida dell’azione e delle decisioni delle imprese.
Anzi, quando si è cominciato a ragionare di responsabilità sociale, sono state le aziende - e il loro management - a vedere nell’adozione e nell’integrazione della sostenibilità nelle politiche aziendali un’opportunità. Ricondurre un tale cambio di prospettiva nella cultura d’impresa solo a una richiesta esterna o alla volontà di svolgere azioni di comunicazione o marketing è riduttivo. Esso non tiene in considerazione almeno due elementi, e cioè:
a) che per conseguire dei risultati misurabili in termini di sostenibilità sono necessari molti sforzi e tempi medio-lunghi
b) che l’adozione di una politica di sostenibilità ha impatti duraturi sull’organizzazione aziendale (e dunque non è una questione che si può attivare e disattivare senza conseguenze).
Piuttosto si può immaginare che, in diversi casi, vi sia stata la capacità di anticipare le richieste dei consumatori o meglio, di tradurre in realtà un bisogno inespresso o un sentimento solo accennato.

5. La fiducia non basta. La certificazione come garanzia di un’effettiva politica di sostenibilità

Dato che la continua crescita d’interesse verso comportamenti sostenibili porta alle aziende coinvolte benefici - anche consistenti - tanto in termini economici come d’immagine è importante che si vada oltre il semplice patto di fiducia tra azienda e consumatore o stakeholder. In altre parole, l’autodichiarazione non è più sufficiente. L’azienda dovrà garantire ai suoi clienti che quello che offre - prodotto o servizio - sia realmente sostenibile, e cioè che soddisfi un certo numero di criteri misurabili e certificati. E per farlo deve affidarsi a enti terzi che ne attesteranno l’impegno e l’effettiva riuscita.
Solo così la sostenibilità diviene un elemento riconosciuto, valido e oggettivo. Utile da sfruttare anche a fini di comunicazione e marketing.
La ragione per la quale un’azienda decide di intraprendere un percorso di sostenibilità confrontandosi con una parte terza è duplice e risponde a criteri:
1. “interni e di comprensione”. L’obiettivo è scoprire - attraverso il confronto con gli esperti dell’organismo di certificazione - il proprio grado di sostenibilità e, in base al risultato mettere in opera i possibili rimedi per migliorare la situazione. Un caso frequente è la volontà di capire se e quanto i propri processi produttivi si possano dire “sostenibili”.
2. “esterni e di comunicazione”. L’obiettivo è comunicare all’esterno - in primis a clienti e stakeholder - la propria adesione a politiche di sostenibilità che siano sul versante ambientale, sociale o di governance. Ovviamente, con la garanzia di una certificazione che ne attesti la validità e la qualità delle performance.
Le parti terze che operano per certificare i soggetti interessati utilizzano standard nazionali e internazionali, come UNI o ISO.

Il processo che porta all’adozione di queste norme non mai è immediato; una volta elaborate dagli enti normatori e messe sul mercato, esse entrano nella consuetudine gradatamente, soprattutto sotto l’impulso proveniente dalle grandi aziende, in genere le prime a decidere di farsi certificare secondo questi standard o a richiederne l’adeguamento ai propri fornitori o subfornitori. Questi, spesso aziende di dimensioni medio-piccole, avviano il processo di certificazione, così da ottemperare a una diretta richiesta dei loro clienti (restando dunque nell’albo fornitori). Due esempi su tutti.
La ISO 39001 ha avuto una certa diffusione poiché è indicata quale requisito necessario per partecipare a gare d’appalto indette da Anas-Autostrade, mentre si sta registrando un netto incremento delle certificazioni ISO 28000 (focus sicurezza nella supply chain), da quando un colosso come IKEA ha deciso che tutti i suoi fornitori dovranno adeguarsi entro il 2020.
Capita inoltre, specialmente in un medesimo settore che più aziende si uniscano in associazione e si accordino per stabilire gli standard minimi richiesti per una determinata attività; una volta decisi, essi diventano criteri di selezione per i fornitori o requisiti per partecipare a bandi di gara. Ne sono esempio due iniziative quali il Responsible Jewellery Council (RJC) e l’Aluminium Stewardship Initiative (ASI). Anche in questo caso, sarà comunque opportuno l’intervento di un certificatore terzo che garantisca all’associazione il rispetto delle norme richieste.

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