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Benessere animale. Schemi di certificazione chiari per consumatori e operatori. Ora anche in Italia

Ott. 5 2022
Benessere animale. Etichettatura quale esigenza dei consumatori

Sono anni che si dibatte del tema del benessere animale, soprattutto per quelle specie che gli esseri umani utilizzano nell’allevamento e per la produzione di alimenti. Una preoccupazione che, partita come slancio etico di una minoranza, è divenuta una questione di più ampio respiro poiché vincolata a temi quali la sostenibilità e la salute umana. E di strada ne è stata compiuta dall’ormai lontano 1997 – per limitarci alla legislazione europea – anno in cui gli animali sono stati definiti esseri senzienti (Trattato di Amsterdam) o dal successivo 1998 quando è stata pubblicata la Direttiva 98/58 dedicata proprio  alla tutela di quelli destinati alla nostra alimentazione. Sicuramente il quadro normativo europeo è tra i più avanzati del mondo in questa materia. Come detto, dal 1998 in poi sono state pubblicate una serie di Direttive – recepite poi nel nostro ordinamento – a tutela e per la promozione del benessere di diverse specie di animali da allevamento tra cui vitelli, suini, galline ovaiole e polli allevati per la produzione di carne; ugualmente sono stati fissati standard per il trasporto e per l’esecuzione di azioni come lo stordimento e la macellazione. Non solo. Il benessere animale, quale principio, è riaffermato anche dalla strategia europea per giungere a un sistema alimentare sostenibile entro il 2023, l’ormai nota Farm to Fork.

Passi importanti che – insieme a campagne di sensibilizzazione sempre più efficaci e a un mutamento culturale sui temi della sostenibilità – hanno condotto ampie fasce della popolazione a giudicare il tema come rilevante. I sondaggi di opinione svolti nel corso degli anni (per esempio quello molto approfondito di Eurobarometro del 2016), dimostrano quanto la questione sia cara ai cittadini dell’Unione. La consultazione promossa dalla Commissione europea nei primi mesi di quest’anno ha ulteriormente confermato il forte interesse dell’opinione pubblica. Oltre a un generale invito ad aumentare le specie da tutelare, si fa richiesta di avere una etichettatura sui prodotti in grado attestarne la concreta attuazione. Il 90% dei rispondenti, infatti, ritiene che l’indicazione sul prodotto alimentare sia uno strumento molto utile al momento dell’acquisto. Ma quanto – oggi – le etichette che affermano la conformità dei prodotti venduti alle norme sul benessere animale sono in grado garantire gli acquisti di noi consumatori? Quanto di restituire informazioni chiare e univoche sul prodotto che si sta comprando? 
Il report Study on animal labelling della Commissione europea, DG SANTE, mostra come in Europa (compresi Svizzera e Regno Unito) vi siano – attualmente – ben 51 schemi di certificazione dedicati al benessere animale, di cui, la maggior parte proposta da organizzazioni private. 
Una frammentazione che, com’è facile immaginare, non contribuisce alla chiarezza richiesta. Innanzitutto, la pluralità di certificazioni sta generando confusione nei consumatori, che non riescono a raccapezzarsi fra una tale moltiplicazione di sigle e loghi difficili non solo da riconoscere ma anche da confrontare. Inoltre, accade che i differenti schemi certificatori non coprano i medesimi aspetti della questione dell’animal welfare – ma solo porzioni di essa – aumentando, di conseguenza, il disorientamento di chi deve scegliere un prodotto piuttosto che un altro. 
Inoltre, l'esistenza di molteplici schemi di etichettatura fra di loro non congruenti ha implicazioni negative anche sulla concorrenza tra produttori, soprattutto per quelli che forniscono i più elevati standard di benessere. Capita infatti che etichette riguardanti la stessa specie o che si trovano nello stesso Paese mostrino requisiti di benessere diversi (con la conseguente impossibilità di valutare quanto un prodotto presente in uno stesso mercato sia davvero attento al benessere animale).

La mancanza di basi comuni e precise e la presenza di parametri e metodi di monitoraggio e di valutazione molto limitati – se non addirittura assenti – ha portato la DG SANTE ad affermare che non vi è certezza che gli schemi oggi attivi siano in grado di apportare un reale miglioramento del benessere animale. Infatti, come scrive la Commissione, riuscire a “stabilire un collegamento chiaro e diretto tra i miglioramenti del benessere degli animali e gli schemi di etichettatura è un’operazione sfidante” (traduzione nostra).

Cosa accade in Italia

Quale soluzione, quindi? Una risposta l’Italia l’ha data, introducendo (con l’articolo 224-bis della Legge 17 luglio 2020, n. 77) il Sistema di Qualità Nazionale per il Benessere Animale o SQNBA, con lo scopo di determinare “uno schema di produzione a carattere nazionale che stabilisce le regole generali e i requisiti tecnici per la gestione del processo di allevamento degli animali allevati mediante la valutazione di parametri stabiliti su base scientifica” (Accredia). 

In concreto con il SQNBA si vuol giungere a un’unica norma in grado di mettere ordine nei vari protocolli esistenti e rendere davvero effettive le azioni in favore del benessere animale, garantire la giusta concorrenza fra produttori e aziende e dare informazioni più chiare al consumatore. 
Per articolare e dare esecuzione alle varie funzioni e attività, lo scorso agosto è stato infine pubblicato il Decreto interministeriale di attuazione dello schema SQNBA che definisce i requisiti di accesso alla certificazione, le norme tecniche e le figure professionali di riferimento. L’adesione è su base volontaria ed è garantita a tutti gli operatori della produzione primaria e del settore alimentare degli Stati membri dell’Unione europea.
La certificazione deve avvenire attraverso un Organismo accreditato da Accredia alla norma UNI CEI EN ISO IEC 17065, e deve essere iscritto in un elenco tenuto dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Il decreto istituisce anche un Comitato Tecnico Scientifico Benessere Animale (CTSBA), con il compito di stabilire i requisiti di certificazione relativi all’allevamento delle specie animali di interesse zootecnico. Infine, per la valutazione del benessere animale viene utilizzato il sistema Classyfarm, un database che raccoglie, per il singolo allevamento, le informazioni inerenti alla salute e all’animal walfare. In tal senso, Bureau Veritas Italia può svolgere un servizio di gap analysis per le aziende che volessero valutare il proprio livello di conformità rispetto a Classyfarm. Mentre il percorso per ottenere la certificazione SQNBA può essere supportato da QCertificazioni, società del Gruppo Bureau Veritas.

Cosa accade ora? La strada è ormai segnata e dopo un’attesa durata anni, è finalmente il momento di procedere.