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Il cambiamento? Passa da una finanza sempre più sostenibile

Lug. 22 2020

Per chi opera in campo finanziario, il concetto di sostenibilità è divenuto, ormai, uno dei criteri attraverso i quali si valuta la bontà o la profittabilità di un investimento. Un approccio condiviso confermato da dichiarazioni d’intento e soprattutto dai numeri. Partiamo dalle prime e ricordiamo due documenti usciti a gennaio di quest’anno.
Il primo è il Global Risk Report 2020, pubblicato dal World Economic Forum e incentrato sul parere di 750 analisti e protagonisti dell’economia globale. Per la prima volta da quando viene realizzato, le prime 5 posizioni di maggior rischio sono occupate da eventi riconducibili all’ambiente e al clima, segno della reale presa in considerazione dei temi della sostenibilità da parte degli investitori. Il secondo è la nota lettera agli azionisti di Larry Fink, CEO di BlackRock il colosso finanziario americano. Nello specifico, anche nella missiva del 2020 Fink ha aperto ad investimenti sempre più improntati alla sostenibilità convinto che “in un futuro vicino prima di quanto anticipato da molti, avrà luogo una significativa riallocazione del capitale”.

Vediamo, ora, i numeri. Secondo quanto emerge dal Global Sustainable Investment Alliance Report (GSIA) ammontano a quasi 31mila miliardi di dollari gli investimenti sostenibili. Una cifra rilevante che racconta di una crescita forte, con percentuali superiori al 30%, che sembra non arrestarsi.
Tra le aree geografiche maggiormente coinvolte in questo processo vi sono Europa, Stati Uniti, Canada, Giappone e Australia. Il Vecchio Continente è il luogo nel quale si realizzano i maggiori investimenti in sostenibilità con oltre 14.000 miliardi, 46% del totale, seguito – a distanza – dagli USA, con 11.900 miliardi di dollari pari al 39%. Più distanziati con percentuali a una sola cifra Giappone, Canada e Australia con il Paese del Sol Levante ad aver compiuto il più consistente balzo in avanti con un volume triplicato rispetto alla rilevazione del 2016.

Ma cosa si intende per “finanza sostenibile”? Il concetto di sostenibilità non è limitato solo agli aspetti ambientali, ma include anche quelli sociali e di governance. Tre parole che, per praticità, vengono riunite sotto la sigla ESG (ovvero Environmental, Social, Governance) e che indicano i fattori con i quali gli operatori valutano un investimento. In particolare, se il primo considera i rischi legati ai cambiamenti climatici, alle emissioni di CO2, all’inquinamento dell’aria e dell’acqua, agli sprechi e alla deforestazione, il secondo prende in esame le politiche di genere, i diritti umani, gli standard lavorativi e sindacali. Il terzo infine, è focalizzato sulle pratiche di governo societarie, i comportamenti dei vertici e dell’azienda in termini di rispetto delle leggi e della deontologia.

Non tutti gli investimenti responsabili hanno le stesse caratteristiche e finalità, come spiega la ripartizione in 7 strategie o tipologie. Per esempio, dei quasi 31mila miliardi di dollari, 19mila rientrano nella strategia dell’“esclusione”, ovvero quella che non considera investimenti in attività giudicate poco etiche (armi, pornografia, tabacco, etc.). A seguire con 17mila miliardi vi sono quegli investimenti che “integrano i criteri ESG”, mentre in terza posizione, con quasi 10mila miliardi, quelli che guardano all’ “engagement”, cioè a un processo di lungo periodo, finalizzato ad influenzare positivamente i comportamenti dell’impresa e ad aumentare il grado di trasparenza.

Un altro versante della finanza responsabile è rappresentato dai cosiddetti “green bond”, emissioni obbligazionarie fatte da società che operano in settori sostenibili. E il 2019 si è rivelato essere un’ottima annata: secondo i dati di Bloomberg New Energy Finance (BNEF) è stato stabilito un nuovo record per il volume di debito sostenibile emesso a livello globale: 465 miliardi di dollari, con un aumento del 78% rispetto al 2018.

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Non è un segreto che fra le leve che spingono le aziende alla sostenibilità, vi sia quella reputazionale e, più in generale, di brand e marketing.
La criticità nasce quando le imprese o le organizzazioni esagerano o addirittura inventano il loro impegno verso temi sostenibili: in gergo questo comportamento viene definito di greenwashing, una patina di responsabilità sotto la quale vi è poco o nulla.
Per questa ragione a marzo di quest’anno, la Commissione europea ha varato il Piano d’azione sulla finanza sostenibile, tra le cui misure vi è anche quella di maggiore trasparenza e uniformità nella valutazione dei criteri ESG.

In questo senso Bureau Veritas Italia offre il proprio supporto a quei soggetti intenzionati a emettere “green bond”, verificando e certificando che i prodotti finanziari soddisfino tutti gli standard e dunque siano 100% affidabili e sicuri.
Ciò avviene attraverso due fasi. Una verifica di terza parte prima dell’emissione, focalizzata sulla capacità dell’ente emittente di soddisfare i requisiti e sulla probabile eligibilità di progetti e asset. E una verifica di terza parte a seguito dell’emissione, che consiste in una valutazione più completa su come l’ente emittente e l’obbligazione soddisfano tutti i requisiti dello standard.

In direzione di una maggior sicurezza, vi sono le linee guida dell‘European Banking Authority, pubblicate quest’anno e in vigore dal giugno 2021; esse hanno come obiettivo quello di garantire standard rigorosi e prudenti quando si tratta di assumere, gestire e monitorare il rischio di credito (anche nell’ottica della difesa e tutela del consumatore).
Anche in questo caso, Bureau Veritas può essere di supporto. Sia attraverso l’erogazione di servizi a banche e compagnie assicurative, necessari per valutare le prestazioni ESG dei clienti e le emissioni di carbonio, sia formando e certificando le competenze in finanza verde dei professionisti.

In questo modo, supportando l’integrità del mercato delle obbligazioni “verdi”, la certificazione diviene ulteriore strumento a favore dello sviluppo della finanza responsabile.

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