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La neutralità climatica europea: gli strumenti a disposizione delle organizzazioni

Lug. 21 2021

Dopo un 2020 nel quale si è temuto che il tema del cambiamento climatico passasse in secondo piano a causa della grave emergenza sanitaria dovuta alla pandemia da COVID-19, in Europa si è ripreso a parlare di clima e delle misure che occorre prendere per arrestarne i mutamenti. 
Tra le attività più recenti vi è l’approvazione della normativa sulla neutralità climatica, nel giugno 2021, da parte del Consiglio UE, che segue l’accordo politico raggiunto in tal senso tra il Consiglio stesso e il Parlamento europeo nel precedente mese di aprile.
Gli Stati membri dovranno ridurre collettivamente almeno del 55% le emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990.

Tale normativa si pone in continuità con gli impegni già presi, arrivando poco dopo il vertice dei leader sul Clima di aprile e anticipando la pubblicazione del pacchetto clima “Fit for 55”, prevista per il mese di luglio. Quest’ultimo conterrà numerose proposte legislative, incluse la revisione delle direttive sull’efficienza energetica e sulle energie rinnovabili, il rafforzamento e l’estensione del sistema di scambio di quote di emissioni, la riforma della direttiva sulla tassazione energetica e un meccanismo di carbon tax di frontiera.

Ad essere particolarmente coinvolti dai provvedimenti saranno ambiti come i trasporti, l’industria e, in generale, il sistema degli edifici. Infatti, la produzione di energia per soddisfare i bisogni dei tre ambiti citati è responsabile del 57% delle emissioni globali di gas effetto serra (Climate Watch, World Resources Institute).

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Gli effetti di tali quantità di emissioni sull’ambiente e gli ecosistemi sono note e ci si sta pericolosamente avvicinando al momento in cui le conseguenze di una crescita tanto rapida saranno irreversibili. Sugli ultimi venti anni, ben diciotto hanno fatto segnare le temperature più alte mai osservate, e contemporaneamente è aumentata la frequenza con cui si sono verificati eventi metereologici estremi (incendi, ondate di calore e inondazioni). Si tratta di fenomeni dai costi altissimi, non solo per gli ecosistemi ma anche per le economie mondiali. Guardando all’Italia, il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici ha stimato che se la temperatura media dovesse aumentare di 4°C rispetto al periodo preindustriale, le perdite di PIL pro capite sarebbero superiori al 2,5% nel 2050 e tra il 7-8% a fine secolo.
A questo punto, aziende, imprese e industrie sono chiamate ad intervenire direttamente. Ridurre davvero e in maniera duratura è possibile, ma da dove partire?

Per facilitare il processo è possibile individuare una “Roadmap per la carbon neutrality” in quattro tappe, a ciascuna delle quali corrispondono standard di riferimento e normative specifiche. Vediamole nel dettaglio.

Il primo passo consiste nel monitorare e rendicontare, attraverso ciò che tecnicamente è definito un “inventario”, i gas ad effetto serra emessi dalla propria organizzazione e dalla relativa filiera. In alternativa, è possibile di svolgere uno studio di Life Cycle Assessment finalizzato a valutare l’impatto ambientale di un prodotto o servizio lungo tutto il suo ciclo di vita. Gli standard di riferimento per questo passaggio sono rispettivamente la norma 14064-1, relativa alle organizzazioni, e lo standard ISO 14067 riguardante i prodotti.

La seconda tappa prevede di ridurre le emissioni. Infatti, conoscere la quantità e la tipologia delle emissioni, non è sufficiente. Occorre piuttosto passare ad una fase operativa di contenimento e mitigazione, intervenendo là dove i processi sono poco efficienti e inquinanti e agendo sulle attività, anche mettendo in atto strategie di efficientamento energetico. In tal caso gli standard di riferimento sono: PAS 2060, ISO 14064-1, ISO 50001 e Science Based Targets Initiative.

La terza tappa prevede di compensare le emissioni poiché, spesso, benché gli interventi efficientino la produzione e migliorino le performance ambientali non è possibile - almeno in una prima fase - portare a zero le proprie emissioni. Per questo vi è la possibilità di compensare le emissioni restanti, acquistando dei crediti di carbonio certificati: un credito compensa una tonnellata di CO2 equivalente. Si tratta di strumenti, introdotti dopo l’approvazione del Protocollo di Kyoto, che consentono la neutralizzazione delle emissioni attraverso l’investimento in progetti di sviluppo sostenibile, attivati in diversi luoghi del mondo, anche molto lontani dal punto di emissione. Tra i progetti nei quali è possibile investire per ottenere crediti vi sono quelli di:
 riforestazione e riduzione della deforestazione
 gestione sostenibile dei rifiuti
 efficientamento energetico
 accesso all’energia e lotta alla fuel poverty. 

Il sistema dei crediti, se utilizzato correttamente per compensare solamente le emissioni che non è possibile eliminare, genera almeno due benefici. Quali? 
Da un lato porta le imprese ad avere un ruolo attivo nella lotta agli effetti del cambiamento climatico, cooperando nel raggiungimento degli obiettivi globali. Dall’altro, il finanziamento di progetti di sviluppo sostenibile là dove, nel mondo, più serve, contribuisce in modo tangibile e misurabile al raggiungimento dei "Sustainable Developmet Goals" (SDGs) indicati nell’agenda 2030 delle Nazioni Unite.
Gli standard relativi a questa fase sono: PAS 2060, VCS standard, Gold Standard.

La quarta e ultima fase è detta di disclosure. Questa prevede che la strategia individuata e gli obiettivi raggiunti vengano rendicontati, raccontati e diffusi periodicamente agli stakeholder. In questo modo sarà possibile generare valore intorno alla propria azienda, migliorandone la reputazione, creando fiducia e credibilità sugli impegni presi. Per la riuscita dell’iniziativa e da un punto di vista strategico è bene che l’impresa si ponga obiettivi a breve e medio termine. Solo così, infatti, sarà possibile procedere per gradi e comunicare man mano l’avanzamento dei progetti.

Esistono diverse iniziative che definiscono modalità di reporting e disclosure di tali informazioni, quale ad esempio la CDP che gestisce il più ampio database mondiale sull’informazione climate-related delle aziende ed è una fonte di informazioni molto utilizzata ad esempio dalla comunità finanziaria e dagli investitori. A questa si aggiungono anche la Task Force on Climate-related Financial Disclosures, l’iniziativa Carbon Footprint Italy e il Zero Carbon Target.

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