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Formazione comportamentale: tra crescita professionale e personale
 

Mag. 7 2019

Essere in grado di prendere le decisioni nei tempi giusti, esercitare la leadership, sopportare lo stress e gestire le crisi, lavorare in gruppo, sapersi relazionare con i colleghi e i collaboratori, avere doti di mediazione quando si tratta di ricomporre eventuali tensioni nel team, saper comunicare con chiarezza, riuscire ad avere un pensiero analitico senza per questo smarrire la capacità di una visione d’insieme, ragionando per problemi. Queste sono solo alcune delle abilità richieste a un professionista o a un lavoratore, magari con ruolo manageriale. Probabilmente tutti ne abbiamo sentito parlare, anche solo scorrendo le offerte di lavoro in un sito web di job placement.  
Sono le cosiddette “soft skill”, come spesso vengono definite, perché non hanno a che vedere strettamente con la preparazione teorico-tecnica, con le conoscenze approfondite - “hard” per l’appunto - o con le competenze specifiche. Esse, piuttosto riguardano l’atteggiamento con il quale il capitale umano di un’impresa - i suoi dipendenti e collaboratori - si muove, interagisce, fa, occupa una posizione o svolge un compito in azienda o all’interno di un contesto organizzato. 
Alla promozione delle soft skill spesso viene affiancata una formazione che guarda a competenze “trasversali” e cioè a quelle componenti o discipline indispensabili per la gestione di un’impresa di successo.  
Un esempio riguarda quei lavoratori che a seguito di promozioni sono passati da un ruolo più operativo - sul campo - a uno di coordinamento o manageriale per il quale è opportuno avere delle competenze di economia, finanza o nozioni di giurisprudenza. Spesso, tuttavia, queste persone ne sono sprovviste poiché hanno alle spalle un percorso di studi differente. 
Il caso più frequente è quello di coloro che da “commerciali” abituati a operare a stretto contatto con i clienti, spesso fuori sede, protagonisti nella fase più calda nel processo di vendita si ritrovano a dover gestire un team, da una scrivania, alle prese con problematiche di budget, indicatori di risultati, statistiche e previsioni, documentazione e reportistica. 

Questo tipo di formazione che unisce le soft skill a competenze trasversali è definita “comportamentale” perché appunto ha un impatto sull’atteggiamento - sulla modalità - con il quale le persone si pongono e operano in strutture e organizzazioni aziendali più o meno complesse. 
Un approccio che chiama direttamente in causa quella cultura d’impresa che vede nella formazione professionale dei dipendenti e nella promozione delle loro capacità un valore - asset si potrebbe anche definire - in grado non solo di incidere sulla crescita professionale dei singoli individui ma anche e soprattutto su quella dell’azienda. Con chiari e positivi effetti sul business e sui risultati.  
In un mondo ipercompetitivo, dove anche piccole realtà sono costrette ad operare in mercati allargati, globali, sono due gli elementi irrinunciabili, senza i quali la sopravvivenza dell’impresa stessa è a rischio e cioè: un continuo adeguamento tecnologico (innovazione) e dipendenti e lavoratori “skillati”, competenti, aggiornati e in grado di rispondere adeguatamente alle sfide quotidiane. 

In questo senso, le PMI e specialmente quelle che sono caratterizzate per una storia familiare o padronale piuttosto marcata, possono trovare nella formazione comportamentale uno strumento efficace per superare senza scossoni il trauma del passaggio dalla gestione forte e carismatica del fondatore a quella della seconda generazione. Magari approfittando per modernizzare l’organizzazione, svecchiando ed efficientando procedure e processi interni ormai obsoleti. 
Le aziende grandi o molto grandi - per le quali invece la formazione è contemplata come attività  standard - ottengono comunque vantaggi da questo genere di approccio. Oltre, infatti, alla crescita professionale e di competenze che normalmente segue un processo formativo, queste aziende hanno l’opportunità di scoprire talenti e abilità nascoste nelle risorse umane interne alla loro organizzazione. E che un giorno potrebbero ricoprire ruoli di leadership o responsabilità senza che si debba ricorrere a una selezione di personale esterno. Con grande risparmio di tempo, denaro e, in fondo, meno rischi di fallimento.

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