Il tema delle infrastrutture e, in particolare della necessità di ammodernamento, manutenzione e ulteriore sviluppo, è spesso al centro del dibattito pubblico italiano. La recente approvazione e trasformazione in legge dello Stato del cosiddetto Decreto Sblocca Cantieri, ne è un’ulteriore conferma.
Tralasciando in questa sede la questione – urgente – della messa in cantiere di progetti infrastrutturali necessari allo sviluppo dell’economia nazionale (viabilità-logistica, industria, energia etc.), guardiamo a quanto già esiste e dev’essere manutenuto, ammodernato o ristrutturato con interventi più profondi.
Si tratta di uno sforzo notevole, specialmente per un Paese come il nostro, che ha progressivamente – e per svariate cause – diminuito la costruzione di nuove opere dopo la forte spinta alla sviluppo degli anni Cinquanta e Sessanta (il boom economico) e in parte dei Settanta del secolo scorso. Una nazione che si trova in gestione, per così dire, un’importante quantità di infrastrutture, dall’età media elevata e bisognose di attenzioni.
I dati sui viadotti Anas citati nel Focus On mostrano perfettamente la situazione attuale.
Le infrastrutture realizzate in calcestruzzo poi, diventano “osservate speciali”. Questo materiale – in special modo se si considera la tecnologia della seconda parte del Novecento – oltre i 50 anni comincia a manifestare segni di cedimento.
Intervenire è fondamentale. Sempre limitando il nostro sguardo a strade e autostrade, secondo cifre fornite da Anas, servirebbero circa 2,5miliardi di euro all’anno per la manutenzione straordinaria – cioè messa in sicurezza e miglioramento – degli oltre 29mila chilometri della rete stradale nazionale.
Tuttavia, è importante anche conoscere. Solo così è possibile dirigere al meglio gli investimenti dove è più urgente intervenire. Infatti, oltre all’obsolescenza infrastrutturale, un altro problema riguarda l’assenza di attività di controllo e monitoraggio sia essa a cadenza periodica, tramite ispezioni, sia in maniera continuata e automatica, grazie alla presenza di sensori. Nella stragrande maggioranza dei casi, dunque, non abbiamo alcuna reale percezione dello stato in cui versano, per esempio, ponti, cavalcavia e viadotti.
A questo si aggiunge un’ulteriore aggravante: le verifiche sono condotte da personale non adeguatamente formato, che si limita a un’ispezione visiva poco approfondita, non in grado di fornire dati e informazioni precisi sullo stato di salute del manufatto.
In questo senso, la formazione può trasformarsi nell’elemento sul quale fare leva per modificare una situazione che necessita di scelte efficaci e tempestive. Esistono appositi percorsi formativi e conseguenti certificazioni rilasciate da organismi di terze parti in grado di formare figure di ispettori esperti in diversi ambiti tra i quali vi è proprio quello dei ponti.
La tragedia del ponte Morandi a Genova, ha destato l’attenzione dell’opinione pubblica e dei decisori politici nei riguardi della sicurezza delle infrastrutture. E la risposta dev’essere duplice attraverso investimenti in manutenzione per rispondere alle esigenze contingenti e investimenti nel monitoraggio e nelle ispezioni, per avere una situazione sempre aggiornata. Dunque, la conoscenza e l’expertise come strumenti efficaci per ridurre il rischio.