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Le aziende che ottengono i risultati migliori? Sono quelle inclusive

Gen. 31 2022

Articolo aggiornato a marzo 2022 per tener conto della pubblicazione UNI/PdR 125:2022.

Inclusione e parità di genere intesi come modelli di lavoro e non solo come filosofia aziendale sono tra gli ambiti messi a dura prova dalla pandemia di Covid-19. Focalizzando l’attenzione sul secondo, il Global Gender Gap Report 2021 pubblicato a marzo dello scorso anno evidenzia come nei 156 Paesi coinvolti nell’indagine, la strada percorsa per colmare il divario di genere sia stata completata solo al 68%, con un -0,6% rispetto ai risultati presentati dal Report 2020. I numeri rappresentano solamente una prima analisi dell’effetto della pandemia, che si sta protraendo ormai da due anni, e ci si aspetta subiranno un’ulteriore correzione al ribasso.

Da una prima analisi, tuttavia, si stima che proseguendo con queste modalità, il gender gap in tutto il mondo verrà colmato solo tra 135,6 anni. Dal Report non arrivano rassicurazioni neppure guardando agli altri due principali indici, quello sulla parità di genere in ambito politico, fermo solamente al 22% e per colmare il quale occorreranno 145,5 anni (World Ecomic Forum) e quello in campo economico, colmato al 58%, a cui serviranno invece 267,6 anni per vedere un pareggio.

Eppure, da tempo è noto che le aziende che hanno maggiore successo sono quelle che al loro interno riescono a creare e mantenere un modello di lavoro che punti con decisione sull’inclusività. Ciò significa considerare sia diversità innate (cioè presenti dalla nascita) sia acquisite: queste rappresentano una ricchezza che va coltivata e tutelata da discriminazioni o trattamenti preferenziali.

Tra le imprese che sono riuscite a instaurare un clima di parità e inclusione, i profitti sono superiori alla media (+25-35%), vi è un più alto tasso di innovazione (+20%) e una migliore capacità di gestire i processi decisionali che si traduce in un +30% della capacità di individuare e ridurre i rischi aziendali (World Economic Forum).

Inoltre, le aziende che adottano politiche basate su tali valori e che le sanno trasmettere all’esterno, registrano benefici anche in termini di immagine. Restringendo lo sguardo sull’Italia, l’88% dei nostri concittadini dichiara di scegliere brand inclusivi (nel 2017, erano il 52%), mentre il 55% è attento e attivo sulle tematiche della diversità (Diversity Brand Index 2021).

Ma quali percorsi possono intraprendere i soggetti che desiderano consolidare, migliorare e sistematizzare le proprie politiche di diversità e inclusione? Qui di seguito trovate alcuni modelli che possono essere presi a riferimento.

1. La prassi di riferimento UNI PdR 125:2022 per la parità di genere nelle organizzazioni, che prevede l’adozione di specifici Key Performance Indicator (KPI- indicatori chiave di prestazione). Il documento prevede la misura, la rendicontazione e la valutazione dei dati relativi al genere nelle organizzazioni con l’obiettivo di colmare i gap attualmente esistenti nonché incorporare il nuovo paradigma relativo alla parità di genere nel DNA delle organizzazioni e produrre un cambiamento sostenibile e durevole nel tempo. Per far ciò, gli estensori del documento hanno individuato sei aree di indicatori attinenti alle differenti variabili che possono contraddistinguere un’organizzazione inclusiva. Si tratta di:

  1. cultura e strategia
  2. governance
  3. processi HR
  4. opportunità di crescita in azienda neutrali per genere
  5. equità remunerativa per genere
  6. tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro

Il testo - nato dalla collaborazione tra CONFAPID (Confederazione Italiana piccola e media industria privata), AIDDA (Associazione Imprenditrici e Donne Dirigenti di Azienda) e AICEO (Associazione Italiana CEO) - è frutto del Tavolo di lavoro sulla certificazione di genere delle imprese previsto dal PNRR Missione 5, componente 1, coordinato dal Dipartimento per le Pari Opportunità, a cui hanno partecipato il Dipartimento per le politiche della famiglia, il Ministero dell'Economia e delle Finanze, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il Ministero dello Sviluppo Economico e la Consigliera Nazionale di Parità.

La prassi è strettamente legata al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Esso, infatti, affronta il tema della Diversity & Inclusion e prevede lo stanziamento di 19,81 miliardi per lo sviluppo di politiche di inclusione sociale. In particolare, 6,66 miliardi di euro sono destinati alle politiche per il lavoro, tra le quali figura lo sviluppo di una certificazione della parità di genere. Questa fornirà dati comparabili sul grado di gender equality delle aziende e permetterà non solo di riconoscere le realtà più virtuose, ma di provvedere eventualmente a specifiche forme di premialità, di natura fiscale ma anche in termini di qualificazione nell’accesso a bandi e a fondi.

La Prassi di Riferimento UNI si ispira ad uno standard ISO di più ampio respiro, che oltre alla parità di genere prevede un’azione a tutto tondo su tutti gli ambiti della Diversity, come descritto qui di seguito.

2. La norma ISO 30415 - Human Resource Management Diversity and Inclusion.

Si tratta di uno standard internazionale che consente di valutare, implementare e mantenere le applicazioni dei principi di D&I all’interno dell’intera organizzazione: in tutte le fasi dei processi aziendali, negli organi di governo e nella gestione delle risorse umane, ma anche all’interno della catena di fornitura e nelle relazioni con gli stakeholder. La norma è applicabile a qualsiasi tipo di organizzazione sia essa pubblica, privata o senza scopo di lucro, senza vincoli di dimensioni o relative alla natura dell’attività.  La norma non è certificabile ma è possibile condurre self -assessment e assessment di parte terza a fronte del suo modello.

Dalla sua applicazione derivano numerosi benefici i principali dei quali sono:

  • la capacità di organizzare un framework D&I che permette di gestire meglio la varietà delle iniziative in un quadro coerente
  • la possibilità di evidenziare il proprio impegno nel valorizzare le diversità e l’essere inclusivi, con ricadute positive a livello reputazionale
  • una ragionevole assicurazione per gli stakeholders dell’impegno e degli sforzi profusi dall’organizzazione in tema di gestione delle risorse umane, certificati da un ente di terza parte.

3. La certificazione GEEIS – Diversity, uno standard nato nel 2017 dalla collaborazione tra l’Associazione Arborus e un gruppo di multinazionali. Il progetto, con il quale Bureau Veritas ha una partnership esclusiva per offrire la certificazione a livello mondiale, è supportato dalla Commissione europea e dal Consiglio europeo per il sociale e l’economia.

L’obiettivo di GEEIS è valorizzare l’impegno delle organizzazioni, valutando l’adesione a ciascun requisito dello Standard in riferimento a cinque diversi livelli:

  1. l’assunzione di un impegno formale
  2. l’attuazione di azioni concrete sui temi dell’uguaglianza di genere e diversity
  3. la valutazione dell’efficacia delle azioni implementate
  4. l’impegno al miglioramento continuo attraverso lo sviluppo di buone pratiche
  5. la misurazione dell’impatto delle buone pratiche sui loro beneficiari.